Omicidio di Garlasco, ecco perché il caso è chiuso: "Nessun errore sui testimoni in aula"

Le motivazioni della Cassazione sul 'no' ad un nuovo processo

Alberto Stasi (Newpress)

Alberto Stasi (Newpress)

Garlasco (Pavia), 22 agosto 2017 - Caso Garlaso chiuso, per la Cassazione. Non ci sono state sviste, non ci sono stati errori da parte degli “ermellini”. In dieci pagine la prima sezione penale motiva la sentenza con cui, lo scorso 27 giugno, aveva respinto il ricorso straordinario presentata dagli avvocati dell’ex bocconiano. Secondo i difensori di Stasi la quinta sezione della Cassazione, con la sentenza che il 12 dicembre 2015 aveva reso definitiva la sua condanna a 16 anni di reclusione per l’omicidio della fidanzata Chiara Poggi (uccisa nella sua casa di Garlasco il 13 agosto del 2007), non si era accorta che i giudici dell’appello bis avevano “dimenticato” di ascoltare una ventina di testimoni (21 per la precisione, fra periti e vicini di casa della vittima). Testimonianze che in primo grado avevano portato, invece, all’assoluzione dell’imputato.

Di qui la richiesta di revocare la sentenza della Suprema Corte e disporre, di conseguenza, l’annullamento con rinvio della sentenza di condanna pronunciata dalla Corte d’Assise d’Appello di Milano il 17 dicembre 2014. Per la Cassazione il ricorso è inammissibile. Anzitutto, chi lo ha depositato nella cancelleria (un avvocato del Foro di Roma) non aveva titolo per farlo. «Il ricorso straordinario è stato presentato da un soggetto che non risultata essere stato ‘incaricato’ neppure oralmente dal condannato - si legge nelle motivazioni - il quale, come sostenuto nella memoria dell’avvocato Giarda, aveva invece ‘incaricato’ questi al deposito del ricorso straordinario».

Nel merito, «anche a volere per un momento ammettere», che i giudici del secondo processo d’appello, a Milano, abbiano annullato l’assoluzione del primo grado e deciso la condanna di Stasi senza riascoltare i testimoni, i difensori avrebbero dovuto farne oggetto d’impugnazione e lamentela nel ricorso in Cassazione. Ma questo non è stato fatto. «Il Collegio osserva che la questione suddetta - scrivono i giudici - avrebbe dovuto essere proposta come motivo di ricorso per Cassazione, mentre nessuna doglianza è stata mossa a suo tempo in tal senso». A parte queste considerazioni, gli “ermellini” romani che hanno cristallizzato la condanna non hanno «commesso alcun errore percettivo» e hanno tenuto ben presenti le testimonianze.

«Nel caso concreto, contrariamente a quanto sostenuto dallo Stasi e dalla sua difesa - evidenziano i giudici - risulta chiaramente dalla lettura della sentenza emessa il 12 dicembre 2015 dalla Corte di Cassazione, che i giudici di legittimità avevano ben presente il concreto sviluppo di tutta la vicenda processuale, rinvenendosi nelle decisione suddetta molteplici riferimenti al momento e, dunque, alla fase o grado del giudizio cui le risultanze processuali a contenuto dichiarativo furono assunte». La Cassazione ha anche condannato Alberto Stasi al pagamento delle spese processuali, al versamento di 2mila euro alla cassa delle ammende, a rifondere le spese processuali sostenute dalla parti civili: 4800 euro a favore dei genitori di Chiara, Giuseppe Poggi e Rita Preda, e 4mila euro al fratello Marco.