"Volli salvare i posti di 850 persone È stata la rovina della mia vita"

L’ad Bertazzini scarica le colpe: invece di chiudere ho voluto reindustrializzare, anche i sindacati firmarono l’accordo

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di Stefania Totaro

"Ho dedicato la mia esistenza a cercare di trovare lavoro a 850 persone. Se tornassi indietro non lo rifarei più perchè è stata la rovina della mia vita professionale e personale". Luca Bertazzini, 70 anni, ingegnere in pensione e figlio dello storico professore e sindaco di Monza Pier Franco, è uno degli imputati al processo al Tribunale di Monza per la presunta bancarotta fraudolenta della Bames, ex Ibm fiore all’occhiello della Silicon Valley brianzola e finita invece per chiudere i battenti nel 2013 lasciando a casa tutti i dipendenti.

Con lui sono accusati a vario titolo Vittorio Romano Bartolini, ritenuto con i due figli Selene e Massimo (già condannati a 4 anni e 8 mesi in abbreviato e anche al risarcimento per danno morale di 5.000 euro a ciascuno della settantina di lavoratori che si erano costituiti parte civile al processo) amministratore di fatto della Bames, un altro manager, tre professionisti membri del collegio sindacale e anche l’israeliano Cats Oozi come ex amministratore di Telit Italia.

Sotto accusa un contratto di lease back e un finanziamento con cui Bames ha ottenuto circa 87 milioni di euro. Denaro che, in base alle ricostruzioni della Guardia di Finanza, coordinata dalla Procura di Monza, è servito per acquistare partecipazioni in altre società e per finanziare altre aziende del Gruppo, mentre Cats Oozi è imputato di avere dissipato 16 milioni di euro ai danni della Bames a favore di Telit Communication attraverso la controllata Telit Wireless Solutions.

Luca Bertazzini (a differenza di Vittorio Romano Bartolini che non lo farà per "questioni di salute") era pronto a sottoporsi ad interrogatorio, ma il pm Rosario Ferracane ha rinunciato. Allora ha risposto solo alle domande dei suoi difensori, gli avvocati Marco Negrini e Vittorio Sala.

"Per più di 30 anni ho lavorato allo stabilimento di Vimercate – ha ricostruito Bertazzini – Sono arrivato come giovane ingegnere all’Ibm, un polo industriale di 600mila metri cubi che nel 2006 valeva da 75 a 100 milioni di euro, con 2000 dipendenti e un fatturato di 1000 milioni di euro all’anno, competitivo in tutto il mondo".

Nel 2000 l’azienda viene acquisita da Celestica e Luca Bertazzini era presidente e amministratore delegato prima per l’Italia e poi per l’Europa. "Putroppo la tendenza industriale in corso per questa tecnologia divenne la commodity multicliente e la delocalizzazione verso Paesi esteri con un più basso costo del lavoro – continua l’imputato – Perdevamo 250 milioni di euro all’anno e non eravamo più competitivi. Celestica decise di andarsene da Vimercate e io, per l’affetto che mi legava a quel posto, decisi di non chiudere come avevo già fatto con altri stabilimenti in Europa ma di ideare un piano reindustrializzazione per i lavoratori. Lo stimolo era un congruo compenso: Bames era disposta a pagare 80mila euro per ogni persona assunta ai partners interessati al progetto".

La scelta cadde su Borghi trasporti e spedizioni di Bartolini progetti, Telit e Digital Television. Il piano di reindustrializzazione fu firmato anche dai sindacati dei lavoratori. Con loro non c’è stato accordo sul quantum per abbassare il costo del lavoro, che per quei lavoratori era nel 2006 sui 50mila euro annui ciascuno, di circa il 30-40% fuori mercato. Ritardi ci sono stati anche sul prestito, poi diventato lease back, per i 70 milioni di euro necessari".

Bertazzini si riferisce a Vittorio Romano Bartolini come "il grandissimo" o "il grandioso" Romano, addirittura "san Romano". "Nel 2006 mi volle come presidente e amministratore delegato per 5 anni – racconta Bertazzini – ma nel 2008 mi vennero tolti tutti i poteri e mi si mise nelle condizioni di non nuocere e io presentai le mie dimissioni. Da un passivo di 56 milioni di euro sul fatturato eravamo passati ad un attivo di 1 milione e mezzo quando venni esautorato, ma non c’era nessuno in cassa integrazione". Bertazzini ha puntato il dito anche sulle ricostruzioni dei curatori del fallimento Bames e del consulente dell’accusa.

"Il consulente sulla produzione di Telit e Sem parla di perdite, invece erano utili e i curatori dicono che i partners non avevano affinità con Bames, ma era l’unico modo per non trasferire la manodopera all’estero e salvare i lavoratori".