Uomo murato nel pozzo Tambè rischia l’ergastolo

Lo ha chiesto il pm: avrebbe tenuto fermo Lamaj mentre veniva strangolato. A commissionare l’omicidio per vendetta la ex, lasciata dall’albanese

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di Stefania Totaro

Rischia la condanna all’ergastolo l’ultimo imputato per l’omicidio dell’albanese ucciso a Muggiò e poi murato nel pozzo artesiano di un residence a Senago. Il massimo della pena è stato chiesto ieri nella sua requisitoria dal pm Rosario Ferracane al processo davanti alla Corte di Assise di Monza che vede imputato di concorso in omicidio volontario Salvatore Tambè, 45enne di Riesi (Caltanissetta), in carcere perché ritenuto colui che ha tenuto fermo mentre l’ammazzavano Astrit Lamaj, 42enne scomparso nel gennaio 2013 da Genova e rinvenuto nel gennaio 2019. Le indagini nascono dalle dichiarazioni del pentito Carmelo Arlotta, riesino residente a Muggiò, secondo cui l’albanese è stato attirato in un box per una compravendita di marijuana, stordito e strangolato con un filo di nylon. A commissionare il delitto ai compaesani siciliani Carmela Sciacchitano, 64enne residente a Genova, per vendicarsi di essere stata lasciata dall’albanese. La donna ha patteggiato la pena di 16 anni, mentre le condanne con il rito abbreviato a 24 anni e 14 anni di reclusione sono andate rispettivamente ad Angelo Arlotta e al fratello Carmelo. Al processo in Corte di Assise a Monza sono stati condannati per soppressione di cadavere a 3 anni Francesco Serio, 45 anni di Muggiò, cugino degli Arlotta e Cosimo Mazzola, 54 anni di Cabiate, ma in appello il reato è stato dichiarato prescritto. Dal canto suo, Salvatore Tambè si protesta innocente sostenendo che la mattina dell’omicidio si trovava all’ufficio postale. E a confutare non solo l’accusa di Carmelo Arlotta contro Tambè, ma anche la stessa dinamica e ricostruzione del fatto, è arrivato al processo Angelo Arlotta, nel frattempo diventato a sua volta collaboratore di giustizia, con un’altra versione della terribile vicenda, secondo cui il luogo del delitto non è stato il garage di Giuseppe Cammarata, presunto esponente mafioso ritenuto dagli inquirenti mandante dell’esecuzione voluta dalla Sciacchitano, bensì un appartamento dello stesso Carmelo Arlotta.

Tambè è anche accusato di essersi occupato di fare ‘sparire’ la Golf della vittima portandola nell’autodemolizioni a Desio di Ignazio Marrone, ritenuto esponente della ‘ndrangheta in Brianza e che per questa vicenda relativa alla vettura ha patteggiato la pena. La difesa di Salvatore Tambè ha fatto sapere ieri al processo che il 45enne è stato recentemente assolto dall’accusa di partecipazione mafiosa in un processo al Tribunale di Caltanissetta. Secondo il pm Rosario Ferracane, invece, Tambè "era in rapporto costante e in indiscussa frequentazione con l’ambiente di Cosa Nostra sia in Sicilia che in Brianza" e come gli altri è stato chiamato a occuparsi dell’omicidio "dal brutale movente". Si torna in aula a dicembre.