Solaro, vicino sgozzato nel box: ultimo scontro a maggio

Il 6 l’udienza in Cassazione in cui Mario Zaffarana tenterà di nuovo di farsi assolvere per l’omicidio di Michelangelo Redaelli

I rilievi nel box di Solaro

I rilievi nel box di Solaro

Solaro (Monza) -  Sarà il 6 maggio l’ultimo scontro giudiziario in Cassazione per Mario Zaffarana, 60enne condannato a 21 anni di reclusione per la morte del vicino di casa Michelangelo Redaelli, disoccupato pregiudicato di 54 anni di Solaro trovato sgozzato nel box della sua abitazione il 23 dicembre 2017. L’imputato, ancora detenuto in carcere, continua a proclamarsi innocente e il suo difensore, l’avvocato Luca Valaguzza, definisce "illogici"" la ricostruzione accusatoria e di conseguenza il verdetto di colpevolezza. Mario Zaffarana, muratore, è imputato di omicidio volontario con le aggravanti della premeditazione e dei motivi futili e abietti.

Per lui il pm della Procura di Monza Carlo Cinque aveva chiesto la condanna all’ergastolo, ascrivendo il movente del delitto a vecchi e incancreniti dissidi condominiali. Contro Zaffarana l’indizio che lui avrebbe raccontato alle amiche di un cadavere trovato nel suo condominio la sera del 22 dicembre, mentre il ritrovamento risale al giorno dopo. Per la difesa, invece, le amiche si sono confuse sulla data riferita dal muratore. La Corte di Assise di Monza ha inflitto la pena di 21 anni escludendo la premeditazione.

In appello, la Corte ha confermato la pena, escludendo l’aggravante dei futili motivi ma togliendo all’imputato le attenuanti generiche. "I due condomini scesero separatamente nei garage, ciascuno per adempiere ad incombenze proprie: l’imputato a portare pacchi del trasloco; la vittima, forse, per lustrare l’adorata vettura come sempre faceva, ignorando la reciproca presenza fino al fatale incontro nel corsello condominiale - la ricostruzione della Corte di Assise di Appello di Milano - Una parola sbagliata, un gesto compiuto o equivocato, l’insorgere di un litigio a cui la vittima si sarebbe volentieri sottratta, per temperamento e assenza di prestanza fisica, ed ecco l’esplodere l’ira dell’altro, abituato a portare coltelli con sé in ogni circostanza anche la meno adatta, basti dire che all’arresto indosso e sul furgone gliene hanno sequestrati sei, non propriamente un corredo di necessità, neppure per un muratore".

I giudici milanesi, nella motivazione della sentenza, fanno anche riferimento ai colloqui che Zaffarana ha avuto con le familiari in carcere dopo l’arresto. "In nessun caso l’imputato si premura di spiegare quello che sarebbe istintivo spiegare, concitatamente, interrogandosi, persino imprecando, se davvero egli non avesse detto nulla quel fatidico 22 dicembre, se davvero le amiche si fossero sbagliate. La sua prima reazione non è quella incredula, persino rabbiosa, ma quella dell’indagato ben conscio di quel che ha da nascondere". Una ricostruzione "illogica" per la difesa, che il 6 maggio si giocherà le sue ultime carte per fare assolvere il 60enne.