MARCO GALVANI
Cronaca

Missione irachena, la sfida dei medici tra le macerie di Mosul: "Esportiamo speranza"

L’équipe del Children Global Medicine del Centro Maria Letizia Verga e il programma che insegna ai colleghi di una struttura governativa a effettuare trapianti per salvare bimbi e adulti da talassemia e leucemie

Missione irachena, la sfida dei medici a Mosul

Missione irachena, la sfida dei medici a Mosul

Monza – «Mosul è una città divisa in due. Dopo la liberazione dall’Isis è stata ricostruita solo a metà. Nell’altra ci sono ancora macerie. Non puoi muoverti da solo, c’è comunque il rischio di sequestri, ma questo è il nostro lavoro. La nostra missione di medici è formare i colleghi perché un domani siano in grado di fare da soli i trapianti di midollo osseo". Marta Verna è rientrata da Mosul, ma "li stiamo seguendo da remoto". Lei è la referente del progetto Children Global Medicine del Centro Maria Letizia Verga di Monza. Gira il mondo con la sua équipe per formare e dare speranza. "Il nostro impegno è condividere pratiche e competenze perché attecchiscano in tutto il mondo e proseguano nel tempo, creando nei territori strutture capaci di procedere in autonomia e diventare un riferimento anche per i paesi vicini".

Lo hanno già fatto in Kurdistan, nel 2016: "È una regione con un tasso di incidenza di leucemia e talassemia particolarmente elevato rispetto alla media del resto del mondo. E questo progetto per molti pazienti è una delle pochissime possibilità di poter ricevere cure gratis", racconta Lorenzo Ossoli, responsabile della Fondazione AvsiIraq che sta portando avanti anche il progetto a Mosul con i professionisti di Monza e colleghi da tutta Italia. Oggi in Kurdistan "il centro è completamente autonomo e ha realizzato oltre 300 trapianti", l’orgoglio di Verna. Ci stanno arrivando anche a Mosul. Sono stati contattati direttamente dal governo di Bagdad. "Abbiamo dormito dentro l’ospedale Al-Hadbaa, sulle barelle – ricorda la coordinatrice –. Abbiamo vissuto lì. A novembre abbiamo realizzato un corso sul trapianto di midollo osseo per poi effettuare i primi interventi. Per il momento sono trapianti per curare la talassemia, l’anemia mediterranea".

Sei pazienti ora sono vivi grazie a questo progetto: tre bambini e tre adulti. Ma è importante che "undici tra medici, infermieri e tecnici di laboratorio siano stati formati". Ora, il prossimo passo sarà alzare l’asticella. Dalla talassemia ai trapianti per curare la leucemia: "La tecnica è uguale, ma cambia il tipo di paziente che è più fragile e a rischio di complicanze – continua Verna –. In entrambi casi stiamo parlando di persone, piccoli pazienti, ma anche adulti, che senza trapianto non avrebbero alcuna speranza di sopravvivenza".

Il bisogno è "enorme". Soltanto a Mosul "dovrebbero fare almeno cento trapianti all’anno per dare una speranza a tutti". Tanto per fare un esempio, per rendersi conto della misura del problema sanitario, "a Monza, uno dei più grossi centri trapianto, effetuiamo 30-40 trapianti pediatrici all’anno, perché comunque siamo circondati da altre strutture che effettuano trapianti – precisa Verna –. A Mosul, invece, l’ospedale Al-Hadbaa è l’unico. Anche se il loro vero problema è, perlopiù, di approvvigionamento del materiale sanitario che occorre". Anche per questo i progetti hanno bisogno di una lunga e meticolosa pianificazione. "Devi sempre valutare attentamente ogni dettaglio, perché quando il progetto finisce e te ne vai il rischio fallimento è altissimo e abbiamo sprecato risorse importanti – analizza –. E il fallimento è legato a questioni economiche. Il trapianto è un percorso che dura un anno per capire se l’intervento è andato bene e altri due anni per poter dire che sei guarito".

Tre anni che hanno un costo pesante: fra i 30 e i 50mila dollari a paziente, in quei Paesi (negli Stati Uniti si arriva a mezzo milione, in Italia a 250mila euro). Ecco, "noi facciamo la medicina cosiddetta del primo mondo, il nostro, per poi insegnarla ai medici del secondo mondo. Nel terzo mondo non andiamo, perché loro hanno altri bisogni. È dura, durissima dovergli dire di no, ma le risorse non sono infinite". Marta Verna è stata appena contattata da colleghi del Perù e del Sudafrica, da due anni sta lavorando a un progetto in El Salvador col quale "contiamo di essere operativi da febbraio". Sono tutti corridoi verso la speranza di una guarigione. "Diciamo che è il nostro regalo – il credo di Marta Verna –. Doniamo le nostre conoscenze per permettergli di andare avanti da soli. In fondo la vera generosità è proprio questa: riuscire a rendersi non più necessari".