La forza delle parole: uniti contro l’hate speech

Dal linguaggio denigratorio ai crimini d’odio il passo è breve, per questo vanno scelti con cura e sensibilità i termini che usiamo

Chiedere aiuto non è segno di debolezza ma di consapevolezzaDal 2013, associazioni e governi di più Paesi europei hanno sviluppato iniziative per combattere intolleranza, razzismo, incitamento all’odio, dopo le quali il Consiglio d’Europa ha sollecitato i parlamenti nazionali ad avviare iniziative di inchiesta su hate speech e di contenimento del fenomeno. Come risposta a questo invito, nel 2016, la presidente della Camera Boldrini ha istituito una Commissione su intolleranza, xenofobia, razzismo e fenomeni d’odio, per condurre studi su tali temi.

Tra i firmatari della mozione per la sua istituzione, c’era anche la senatrice Liliana Segre, che, in più occasioni, ha dichiarato di ricevere quotidianamente messaggi d’odio. La Commissione, composta da parlamentari ed esperti, ha avviato i lavori, raccogliendo materiali, svolgendo audizioni, ed arrivando a stilare una relazione sul fenomeno dell’odio, approvata nel 2017. Ma cosa significa di preciso hate speech? Secondo Onu e Amnesty International, è un “qualsiasi appello all’odio nazionale, razziale o religioso che costituisce incitamento alla discriminazione, all’ostilità o alla violenza”. Quotidianamente apprendiamo notizie che riportano episodi di odio e violenza, scaturiti proprio da un uso denigratorio delle parole. Ciascuno di noi potrebbe esserne stato vittima, spettatore, o anche carnefice. Lo stesso Presidente Mattarella, nel discorso di fine anno, parlando dell’importanza di perseguire la pace, ha affermato che, per costruirla, bisogna “educare alla pace. Coltivarne la cultura nel sentimento delle nuove generazioni. Nei gesti della vita di ogni giorno. Nel linguaggio che si adopera”. Le parole sono “pietre”, creano pensieri, comportamenti, e possono portare anche conseguenze gravi. Vox, l’Osservatorio italiano sui diritti, ha elencato le categorie di persone più colpite da messaggi d’odio su Twitter nel 2022: donne (43%), diversamente abili (35%), omossessuali, migranti, ebrei, islamici…, individui che, come sappiamo dalla cronaca nera, diventano spesso anche vittime fisiche dell’odio partito dal web. Dagli insulti, dal linguaggio ostile banalizzato, si corre il pericolo di passare alle discriminazioni, al linguaggio e ai crimini di odio, fino alla violenza fisica e all’omicidio. Ma, allora, cosa ciascuno di noi può fare nel proprio piccolo? Che contributo può dare alla lotta contro odio e violenza verbali? Quando ci si esprime, bisognerebbe essere consapevoli che esistono soluzioni diverse dall’aggressività e si dovrebbe sviluppare la capacità di risolvere i conflitti in maniera non-violenta, ricordando l’importanza delle parole, che dovrebbero essere utilizzate non per ferire, ma per valorizzare gli altri: abbiamo una responsabilità verso le parole che pronunciamo o scriviamo, verso noi stessi, verso gli altri e il loro benessere. Le parole vanno usate con cura, optando sempre per un linguaggio civilmente rispettoso e umanamente sensibile.