C’è chi lo conosce per la sua musica d’autore miscelata con il rock e con l’elettronica, che guarda a certe sonorità degli anni Ottanta. Qualcun altro lo ricorda invece per i trascorsi con i Soerba, che con il brano synth pop “I am happy“ fecero furore, o per quelli con i Fluon insieme a Andy dei Bluvertigo. Ora è appena uscito con un nuovo disco solista intitolato “Parlo da solo nei centri commerciali“, un album che racconta di amore, solitudine e contraddizioni. Come nel primo singolo “La condivisione“, dove sonorità elettroniche e malinconia danno vita a un’atmosfera notturna e sospesa. Produttore, cantautore e musicista eclettico, il monzese Luca Urbani si è fatto per i 50 anni un regalo che è in realtà un dono a tutti gli appassionati di buona musica.
Come è nato il nuovo lavoro?
"Io scrivo moltissimo, avevo preparato una ventina di brani per questo disco, poi ho fatto una selezione di quelli che parlavano dell’amore e della solitudine, quasi come se fosse un concept album".
Come mai il tema della solitudine?
"Perché io sono sempre molto solo, sto bene nella mia solitudine e quindi sono un osservatore un po’ diverso. E poi è un periodo in cui sto leggendo solamente libri un po’ distopici e questo mi ha influenzato. Lavorando in una sala prove vedo un sacco di gente, quasi come un barista, e questo in qualche modo è un punto di osservazione, per cui a volte le persone si confessano con me. Poi, per compensare tutto questo e vedere una realtà completamente diversa, per rilassarmi mi guardo Masterchef".
Come suona?
"È un disco molto analogico a livello sonoro, ho usato macchinari che ho ereditato dai Soerba: avevamo molti sintetizzatori che ho riutilizzato per questo lavoro. Sono synth degli anni ‘80 e ‘90: inevitabilmente il disco ha quelle sonorità lì. Che poi sono molto tornate di moda, tanto che quasi non si distinguono più dalle proposte di oggi. È tornata in auge anche l’italo-disco come tipo di elettronica".
C’è una canzone a cui è particolarmente legato?
"Direi 3 brani: “La condivisione“, “Un mondo ostile“, che è tratto proprio dalle letture di libri distopici che sto facendo, e “Addio Addio“, che ha un testo di Pasquale Panella. Sono quelli che riascolto di più. Io mi riascolto molto, a differenza di quanto faceva De André o fa Garbo, con cui ho lavorato. Ascolto per vedere come i pezzi sono venuti quando li ascoltano gli altri e poi per cogliere eventuali difetti, anche se ormai non si possono più correggere: è una cosa un po’ folle, ma che faccio abitualmente. Quando esce un album dei Depeche Mode lo ascolto più volte e ogni volta mi sembra un po’ diverso, non sono uno che si stanca presto di un disco. E questo effetto funziona anche con le mie cose. Le chiavi di lettura, differenti dalle mie, che mi arrivano come riscontro dopo la pubblicazione spostano in qualche modo anche il mio punto di lettura: tu le canzoni le scrivi per un motivo, ma poi spesso le persone ci leggono tutt’altro, e allora provi a capire perché".
Come è nata la collaborazione, per questo lavoro, con Morgan e con un paroliere come Panella?
"Con Morgan non ci vediamo da un bel po’ ma ci sentiamo sempre, mi coinvolge sempre nelle cose che fa. Assieme abbiamo scritto diversi brani, come “L’assenzio“, che ha portato a Sanremo con i Bluvertigo, e aveva prodotto il primo disco dei Soerba. Per questo album la collaborazione con lui e con Panella è partita da un’idea di Morgan, che aveva scritto un libro di poesie e aveva chiesto a Panella una prefazione: Panella gli ha risposto con una sua poesia per ogni poesia di Morgan. Allora lui ha chiesto a diversi artisti, tra cui me, di musicare questi testi di Panella, e lo abbiamo fatto con passione".