Il fantasma della Ca’ Bianca, quella prostituta uccisa che si aggira nei boschi

In un registro parrocchiale di Arcore si fa menzione della sua tragica morte. I carrettieri terrorizzati da una figura evanescente che compariva vicino a un’edicola sacra

Ghostbuster in azione

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Il carro procede lentamente, in mezzo a un terreno tutto buche e avvallamenti. Si avvicina a una cappella votiva, una delle tante di cui era punteggiata un tempo la Brianza. Vicino c’è un corso d’acqua e, accoccolata sugli argini, a due passi da un bosco, si imbatte in una sagoma femminile. China, come avvolta su se stessa. Non si vede quasi più nulla, anche perché è l’imbrunire, tranne i lumini della cappella ma è come se i contorni della misteriosa figura risaltassero bianchi ed evanescenti. Da quella sagoma, racconterà il carrettiere davanti a un boccale di vino per farsi coraggio all’osteria, trapela una voce, esile. È di una donna, che fa una curiosa richiesta: vuole un passaggio fino a casa. Fa freddo e la strada è buia e gelata. Impossibile dire di no. Solo che al momento di scendere per dare una mano a quella donna in chiara difficoltà, la sua sagoma si affloscia. Gli abiti ricadono su se stessi, sono solo un mucchio di stracci. Non si tratta di un bosco qualsiasi, quello.

Ma di un luogo stregato, su cui circolano voci sinistre. È il luogo di un assassinio. E la vittima era stata proprio una povera donna come quella apparsa in quella oscura serata. Sono tante le leggende che si susseguono simili da quelle parti. I cantastorie, i giornalisti dell’epoca, le hanno portate in giro e diffuse ad arte, nelle stalle e nei fienili. Si dice che l’ora degli spettri scocchi a mezzanotte. Ma non sempre servono i dodici rintocchi di un campanile per dare vita a una storia di fantasmi. A volte, basta molto meno. Bastano due colpi di schioppo.

Bisogna andare indietro di qualche secolo per imbattersi in una storia di fantasmi e cronaca nera. Nel 1661 il curato di Arcore, tale Francesco Carozzo, annota diligentemente sul libro in cui sono registrati nascite, sposalizi e morti, poche parole: “Margaritta d.a La Borghetta del luogho di Sartirana P di Bruio è stata trovata morta nelli boschi della Casa bianca Comun d’Arcor in due schiopetate et prove in quantità et è stata riconosciuta p lei dà molti e così si è portata alla Cura et adì sedeci marzo se li è dato la sepoltura”. Sono anni lontani, anni violenti, in cui – basterebbe rileggere i Promessi Sposi – poteva capitare di imbattersi facilmente in briganti e “bravi”, gli scagnozzi dei potenti dell’epoca. Milano è stata falcidiata dalla peste nel 1630 e l’economia è in ginocchio. Dove siano esattamente quei boschi rimane abbastanza controverso, un sito che cita questa storia (“Scoprilabrianzatuttoattaccato”) ha provato a ricostruirlo e nomina le Monache di San Paolo di Monza come proprietarie di terreni e fabbricati identificati come la Cà Bianca, delimitata da una minuscola edicola votiva chiamata la “Capelèta”.

La vittima di cui si parla nel registro parrocchiale è altrettanto misteriosa. Chi è la Borghetta? Un cognome, un soprannome che andrebbe a indicare la sua provenienza (un borgo) o la sua professione, diciamo non proprio raccomandabile - la “porchetta” -, vale a dire una donna di facili costumi? Tutte ipotesi, anche in molti dovevano conoscerla, come precisa il curato: “è stata riconosciuta per lei da molti”. Quello che però interessa è come dopo qualche tempo siano cominciate a correre voci e leggende. Si raccontava anche che una parrocchiana un giorno era inciampata perdendo uno zoccolo. E mentre lo cercava a tastoni nel buio, le sue mani erano incappate in un astuccio pieno di sfere di metallo: palle di schioppo.