Fatture false, condanne confermate

DESIO Confermate anche in appello le condanne per il presunto traffico di fatture false con autoriciclaggio da 57 milioni di...

Fatture false, condanne confermate

Fatture false, condanne confermate

Confermate anche in appello le condanne per il presunto traffico di fatture false con autoriciclaggio da 57 milioni di euro verso compiacenti società estere, tra cui per la prima volta appare anche la Cina. Il Tribunale di Monza ha inflitto pene fino a 4 anni e 10 mesi di reclusione tra riti abbreviati a patteggiamenti per l’inchiesta denominata “Ironfamily” dal coinvolgimento della famiglia Ricco, rottamai da generazioni a Desio.

Una sentenza a cui gli imputati si sono opposti presentando ricorso alla Corte di Appello di Milano, che però ha avallato la sentenza dei giudici monzesi. Ora alla sbarra rischiano di finire gli altri 85 indagati come utilizzatori delle fatture di cui la Procura di Monza chiede il giudizio. Le accuse contestate sono a vario titolo associazione a delinquere finalizzata all’emissione di fatture per operazioni inesistenti, riciclaggio e autoriciclaggio. L’inchiesta della guardia di finanza di Seregno è partita dopo un controllo effettuato presso l’azienda di Desio, segnalata per operazioni anomale.

Un’indagine che ha portato alla luce l’inquietante evoluzione di questo sistema di evasione fiscale con la destinazione dei soldi ‘sporchi’ non più nei cosiddetti ‘paradisi fiscali’ in Paesi esotici e neanche la triangolazione con la Svizzera e il Regno Unito. Ma l’ingresso di nuovi Paesi in Europa, come Bulgaria, Repubblica Ceca, Polonia, Slovenia, Spagna e Ungheria ma soprattutto il coinvolgimento di società della Repubblica Popolare Cinese. Nel caso concreto di questa indagine il sistema fraudolento prevedeva: emissione di fatture false da parte di imprese italiane fittizie, saldate (dai “clienti” utilizzatori delle fatture) con pagamenti a società ‘cartiere’; bonifico degli importi ricevuti a imprese estere cinesi e infine prelievi in contanti dai conti esteri e successivo trasporto per il rientro in Italia, mediante corrieri, delle provviste di denaro, al netto della “commissione” per l’illecito servizio di “schermo fiscale” reso, pari al 2% di ciascuna transazione. Alcuni indagati, però, nel frattempo, si sono rivolti al Tribunale del Riesame di Monza contro i sequestri patrimoniali, ottenendo indietro dai giudici somme che vanno anche fino a 2 milioni di euro, dimostrando che non erano false le fatturazioni contestate.

Alcuni fatti inoltre si avviano verso la prescrizione perché ormai risalenti nel tempo.

S.T.