Bernareggio, sfollati e dimenticati dopo la voragine: il mutuo resta

L’odissea dei trenta sfrattati: scappati alle tre di notte perché la casa crollava, ora pagano anche l’affitto

La voragine che si è aperta a Bernareggio (Radaelli)

La voragine che si è aperta a Bernareggio (Radaelli)

Monza, 17 luglio 2019 - «Siamo sfollati da tre anni. È come essere morti». È il grido di dolore di 12 famiglie di Bernareggio, nel Monzese, costrette ad abbandonare il loro palazzo inagibile dal 14 giugno 2016 per colpa di una vecchia fognatura dimenticata dal devastante effetto carsico. Stesso destino delle attività commerciali che hanno traslocato. Ma adesso, dopo 36 mesi di stallo, si apre uno spiraglio: il Comune e BrianzAcque, gestore delle tubature sotto accusa, tenteranno la conciliazione. Servirà a quantificare il danno da ristorare ai senzatetto. A cui tocca anche continuare a pagare le banche per le ipoteche e i conti all’amministrazione di condominio.

Vivi per miracolo, «due metri in più e sarebbe stata una strage», scappati di notte alle 3.30, in pigiama, dopo che le bombe d’acqua di quei giorni avevano squarciato la strada davanti al loro cancello, in via Dante 52, aprendo un cratere di cinque metri profondo quasi quattro, che ha provocato il cedimento di un’area 10mila metri. Avevano dato la colpa al terreno, a quelle cavità lasciate dall’era glaciale nella campagna, i cosiddetti “occhi pollini”. Era solo un errore umano. Il condominio è semi-imploso per lo smottamento. Nelle stanze, crepe in cui entra un braccio, pavimenti e piastrelle volati via come piume. Un inferno. «Sotto le fondazioni ci sono delle grotte», racconta Marco Ferrari, maresciallo dei carabinieri ed ex residente dell’edificio modello in cui si cenava spesso insieme e si condividevano tutte le festività. «Siamo una comunità, anche oggi dopo essere stati costretti ad andarcene. Ci sosteniamo a vicenda».

Ostaggi della natura, ma anche di chi avrebbe dovuto prevenire e non lo fece. Aspettano da 1.125 giorni che il duello (legale) a colpi di fioretto fra istituzioni per stabilire le esatte responsabilità arrivi al dunque. «Il rimpallo è evidente» per la minoranza di centrodestra. Il Municipio è socio insieme ad altri 54 centri della zona della partecipata pubblica chiamata anch’essa in causa dalle vittime. Ma nel Paese, i terremoti insegnano, i tempi della burocrazia non giocano mai a favore di chi ci ha rimesso tutto. E questo caso non fa eccezione, nonostante coinvolga più di trenta persone, fra i quali molti bambini. Neppure la Brianza delle fabbrichette che fatturano milioni è stata capace di evitare il vizio italico di far pagare agli unici che non c’entrano le conseguenze di errori che affondano le radici nel tempo. La palazzina è stata costruita nel 2007 con un pozzo perdente e le fognature vecchie sono state sostituite nel 2002-2003, con la pecca di non averne chiuso uno dei due imbocchi. «Ma è oggi che si è verificato il problema, ed è oggi che bisogna trovare una soluzione», ripete l’opposizione.

La svolta potrebbe essere vicina. Lunedì, la minoranza ha convinto il sindaco del Pd Andrea Esposito a tentare una mediazione extragiudiziale. «L’abbiamo sempre chiesta senza riscontri, purtroppo. Almeno finora», sottolinea un altro residente, Alessandro Sala. «Per la prima volta vediamo una luce in fondo al tunnel. Dopo questa seduta torniamo a casa dicendo ai ragazzi che forse riusciremo a riprenderci la nostra vita», aggiunge Alex Marchesi. Per centrare l’obiettivo servono un milione 700 mila euro, i soldi necessari secondo gli esperti a rimettere in sesto l’edificio domotico con riscaldamento a pavimento e cubo anti-sismico che andrebbe palificato per evitare di fare la stessa fine del 2016. Quando sembrava che sul tetto camminasse qualcuno dopo due giorni di pioggia battente. E invece nelle viscere del palazzo c’era una frana. I residenti delle Vele, questo il nome dello sfortunato palazzo, hanno sempre e solo chiesto una cosa: «Tornare a casa». Ora, anche se è tutta da costruire, la possibilità si avvicina. Finirebbe così l’incubo che ha falcidiato i binanci di tante persone, costrette a indebitarsi per sostenere i costi del trasloco forzato. «Paghiamo l’affitto delle nuove abitazioni e il mutuo delle vecchie e pure le spese condominiali». «Non hanno ricevuto aiuti pubblici significativi», sottolinea l’opposizione, «la prima notte in albergo, poi l’unica ad aiutarci è stata la parrocchia»; confermano gli interessati. Che ora sperano torni, davvero, il sereno.