Autodromo di Monza, ecco come è nata la mitica pista all'interno del Parco

Luca Bonetti racconta in una mostra l’evoluzione del circuito nel Parco storico. Nel 1922 lavori bloccati subito per motivi di valore artistico e paesaggistico

Una delle prime gare a Monza

Una delle prime gare a Monza

La prima pietra fu posata da Vincenzo Lancia e Felice Nazzaro alla fine di febbraio del 1922, ma subito fu ordinata la sospensione dei lavori per motivi di "valore artistico, monumentale e di conservazione del paesaggio". Prima ancora che nascesse l’autodromo si ritrovò a fare i conti con la complicata esistenza dentro a un Parco storico. E ancora oggi la convivenza non è una passeggiata. Con l’attesa della decisione (attesa entro oggi) del Tribunale sulla FanZone al Roccolo, sequestrata da metà agosto proprio per questioni paesaggistiche e urbanistiche.

Il disegno originale dell'autodromo
Il disegno originale dell'autodromo

Allora, nell’intricato sviluppo delle polemiche ambientaliste, prevalse la tesi dell’assoluta necessità di un autodromo, per allenare i piloti ma anche per creare un ‘banco di prova’ dove l’industria automobilistica italiana potesse accelerare il suo sviluppo: "L’orgoglio nazionale è un sentimento dell’epoca e la spinta al primato rappresenta il motore trainante e primario". Alla fine fu realizzato un circuito dalle caratteristiche analoghe a quelle previste in origine, ma con un tracciato ridotto a 10 chilometri. I lavori iniziarono il 15 maggio e si completarono il 15 agosto. Non se ne poteva fare a meno. E fu quasi una scelta obbligata costruirlo dentro al Parco, ormai diventato un peso economico insostenibile, ceduto da Vittorio Emanuele III – figlio di re Umberto I assassinato a Monza - all’Organizzazione nazionale combattenti per recuperare risorse destinate alle pensioni dei mutilati e invalidi della Prima Guerra Mondiale. La Villa viene ceduta al Demanio. Il Parco frammentato in diverse funzioni, la parte nord destinata a ospitare il Tempio della Velocità. Un circuito unico.

Una gara in Autodromo
Una gara in Autodromo

"Unico perché è il solo ad essere stato progettato e realizzato seguendo caratteristiche che consentono, nella sequenza di rettilinei e curve molto differenti, di testare la potenza del motore e la tenuta di strada. Unico perché localizzato in un parco di grande interesse storico. Unico perché non si è soprapposto alla morfologia dei luoghi, ma l’ha utilizzata per determinarne la propria forma. Unico perché ha saputo coniugare sperimentazione e innovazione quasi avesse ereditato lo spirito dei luoghi".

Luca Bonetti lo racconta nella mostra “Autodromo 100“ attraverso documenti, fotografie d’epoca, planimetrie storiche e rielaborazioni contemporanee in una mostra (curata insieme con Claudia Ratti) ai Musei Civici. La costruzione, la ricostruzione dopo il secondo conflitto mondiale, le sperimentazioni a cominciare dai freni a disco, i guard-rail e l’asfalto drenante, le principali competizioni partendo dalla Formula Uno e poi i piloti, i tecnici e tutti gli uomini che hanno contribuito ad alimentare il mito di un circuito leggendario.

"Tappa dopo tappa , mappa dopo mappa, l’evoluzione del circuito e le ragioni delle scelte dietro le modifiche di tracciato vengono illustrate in maniera laica, lasciando al visitatore l’occasione di valutarle attraverso un quadro completo del contesto storico – le parole dell’assessore alla Cultura Arianna Bettin –. Per questo la mostra rappresenta un’occasione preziosa, non solo per celebrare il centenario del circuito, questo pezzo di storia condivisa, ma anche per conoscere meglio la nostra città il cui nome nel mondo è noto soprattutto proprio grazie all’autodromo". Foto, documenti, ma anche opere d’arte. Il viaggio nel tempo della pista, il Tempio della velocità, inizia proprio con 9 tra dipinti e disegni di Depero, Russolo, Crali, Gambini, Baldessari e D’Anna, tra i massimi maestri del Futurismo italiano: "La pittura cattura il movimento. Inizialmente il cavallo, la bici, che comunque avevano una loro componente dinamica, ma ben presto furono soppiantati dalla motocicletta, dall’automobile e dal treno, per gli ovvi esiti delle loro componenti meccaniche, quali il rumore, cioè la vera colonna sonora della Modernità".