Monza, aggressioni in Pronto soccorso: nel mirino medici e infermieri

Il primario Ernesto Contro: "Sberle, pugni e occhiali rotti dai pazienti. Ma il servizio deve essere sempre accessibile"

Il pronto soccorso del San Gerardo di Monza

Il pronto soccorso del San Gerardo di Monza

Monza, 22 giugno 2018 -  «Quando quell'uomo ha manifestato le sue intenzioni, immediatamente sono state chiamate le forze dell’ordine e i vigili del fuoco mentre noi abbiamo iniziato a sfollare i pazienti all’interno del pronto soccorso». Troppo rischioso restare dentro con quell’odore pungente di benzina con cui un cinquantenne della provincia con problemi psichiatrici si era appena inzuppato i vestiti. Minacciando di darsi fuoco con un accendino. Ore 19 circa di un mercoledì qualunque in ospedale. Quell’uomo è arrivato senza destare alcun sospetto. Ma una volta superate le porte a vetro scorrevoli si è lasciato sopraffare dalla follia. Ha preteso di parlare con la sua ex, che lavora all’interno dell’ospedale per una ditta esterna. Al rifiuto, ha aperto due piccole taniche di benzina cospargendosi il corpo. Immediatamente è scattato l’allarme.

Subito è partita l’evacuazione. «Sono stati utilizzati gli accessi sul retro dell’ospedale – spiega Ernesto Contro, responsabile del pronto soccorso del San Gerardo -. Lo stesso abbiamo fatto per i pazienti che arrivavano sul piazzale con i propri mezzi». Appena è esplosa l’emergenza che ha costretto a bloccare e sgomberare il reparto, è stata allertata anche la centrale operativa regionale per dirottare le ambulanze su altri ospedali della zona, ma i cittadini che raggiungono il pronto soccorso da soli, quelli non potevano essere avvisati: «Grazie ai rinforzi del 118 siamo riusciti a gestire quei pazienti sul piazzale esterno, all’interno delle ambulanze e in caso di necessità, abbiamo portato all’interno le persone utilizzando porte secondarie - ricostruisce Contro -. Sono stati momenti di tensione, anche perché tutto è avvenuto in un punto nevralgico, proprio all’ingresso, nel box del triage, ma fortunatamente si è risolto per il meglio e in tempi brevi».

Alle 20.30 pericolo passato. Il cinquantenne è stato bloccato dopo una tesa trattativa di polizia, carabinieri e vigili del fuoco. Ammanettato l’uomo, a quel punto l’impresa di pulizia ha potuto iniziare la bonifica dei locali dalla benzina e dall’acqua «sparata» dai vigili del fuoco per «disarmare» l’uomo che teneva in ostaggio l’intero pronto soccorso. Candeggina, saponi profumati, ventilatori per buttar fuori l’odore di benzina.

Alle 23 circa tutto è tornato alla normalità. Pronto soccorso riaperto e rientrato nel circuito del 118. In prima linea. Come lo sono sempre, medici e infermieri. Pronti ad affrontare le emergenze sanitarie e, ormai troppo spesso, i colpi di testa di pazienti o loro familiari. Di giorno ma soprattutto la sera e di notte. Insultati, minacciati, aggrediti fisicamente. «Sberle, pugni, occhiali rotti, c’è anche chi ha addirittura usato spray al peperoncino contro la guardia», racconta il primario. Già, una guardia giurata non armata c’è. Giorno e notte. In orari di ufficio è anche operativo un presidio della polizia, proprio all’ingresso del pronto soccorso.

Ma «come si fa a prevenire? Certe situazioni non si possono evitare - riconosce Contro -. Il pronto soccorso è un servizio pubblico, dev’essere sempre accessibile non puoi barricarti dentro o prevedere l’accesso con un badge». E succede che dall’inizio dell’anno sono già quasi una decina le aggressioni subite da medici e infermieri in un reparto che in meno di sei mesi ha già registrato oltre 51mila accessi. Circa il 23% sono codici bianchi. casi che potrebbero essere gestiti da guardia medica o medico di base. Casi che, inevitabilmente, hanno lunghe attese. Che non tutti sopportano. Per questo «il nostro obiettivo è di creare due percorsi completamente separati per le alte intensità (codici gialli e rossi) e per i pazienti che arrivano in verde o bianco - anticipa Contro -. In questo modo evitiamo che la gente assolutamente non grave si veda passare davanti tanti pazienti che, invece, pur arrivando dopo hanno necessità di cure immediate». Una soluzione. Perché «la nostra missione è continuare a curare la gente». Anche nonostante botte e minacce.