11 settembre 2001: un film, un libro e un disco per capire e ricordare

Spike Lee, Don De Lillo, Bruce Springsteen: così le voci della cultura americana hanno raccontato gli attentati di vent'anni fa

Da sinistra Spike Lee, Don De Lillo e Bruce Springsteen

Da sinistra Spike Lee, Don De Lillo e Bruce Springsteen

Gli attentati dell’11 settembre 2001 hanno segnato un punto di svolta nella storia contemporanea e nell’evoluzione dello scacchiere geopolitico, ma hanno tracciato anche un solco nella cultura e nella società occidentale, in particolare quella americana. Decine di autori si sono dedicati ai fatti di vent’anni fa, scegliendo i linguaggi e i registri più disparati. Dalle opere di fiction alle riflessioni storiche e sociologiche, passando per il racconto dei protagonisti di quella giornata, gli attori che giocarono un ruolo di prima fila nello sviluppo delle vicende predenti e successive gli attentati, gli eroi “sconosciuti” e le vittime. Peschiamo da questo enorme repertorio, per altro in continuo aggiornamento, un film, un libro e un disco. Senza la pretesa di considerarli, ovviamente, i più significativi.

Il film – la 25ª ora (“The 25th hour”), Spike Lee – 2002

Le drammatiche immagini degli attentati terroristici, i volti impolverati e trasfigurati dei dipendenti di uffici e aziende del World Trade Center, l’eroismo civile dei vigili del fuoco e degli altri soccorritori hanno rappresentato una potente, per quanto tragica, fonte d’ispirazione per numerosi cineasti. Scegliamo, quindi, una pellicola che, pur non parlando direttamente dell’assalto agli Usa e all’Occidente intero, fa dell’11 settembre l'orizzonte immanente e il motore invisibile della sua storia.

Il regista di “Fa la cosa giusta” e “He got game” fu il primo a mostrare sul grande schermo Ground Zero, come fu ribattezzata l’area svuotata della presenza delle Torri Gemelle. Secondo i critici cinematografici come il protagonista, lo spacciatore Monty Brogan, interpretato da Edward Norton, del quale seguiamo le ultime 24 ore in libertà, riconosce le sue responsabilità nella sua “caduta negli inferi”, così gli Stati Uniti dovrebbero comprendere, in un’autoanalisi senza compromessi, le proprie colpe nell’alimentare le condizioni che portarono all’esplosione della follia terrorista.

Indimenticabili, fra le altre, la scena in cui gli amici di Monty Francis (Barry Pepper) e Jacob (Phillip Seymour Hoffman) discutono del destino riservato al pusher con gli occhi rivolti alla voragine di Ground Zero e il monologo di Monty davanti allo specchio di una toilette, in cui il protagonista vede alternarsi la sua immagine riflessa, vedute di New York e protagonisti della vita politica di allora (George Bush e Osama Bin Laden in primis), tutti presi a bersaglio da un uomo giunto a tirare finalmente le somme con il proprio passato. Un film, infine, come allegoria di una Nazione, alle prese con nuove insicurezze e con un isolamento di fondo che trova la sua spiegazione nelle azioni e nelle politiche precedenti il trauma dell’11 settembre.

Proprio di recente Spike Lee è tornato a occuparsi dell'attacco agli Stati Uniti di vent'anni fa. L'ha fatto con una serie uscita per il network Hbo che ha suscitato anche qualche polemica, per lo spazio riservato ad alcune teorie complottistiche sulla vicenda, in particolare quelle che sostengono la possibilità che all'interno delle Torri gemelle fosse stata piazzata una carica esplosiva. Il regista, per rimediare a quello che su molti social è stato definito un grave scivolone, ha riscritto il finale della seria            

Il libro – L’uomo che cade (“Falling man”), Don De Lillo - 2007

L’autore di “Americana” e “Underworld”, uno degli scrittori che meglio hanno saputo raccontare gli Stati Uniti a cavallo del ventesimo e del ventunesimo secolo, in questo suo romanzo uscito nel 2007 sceglie di raccontare gli attentati dell’11 settembre da due punti di vista: l’esperienza e il trauma vissuto da un sopravvissuto agli attacchi del World Trade Center, Keith Neudeker e la fase preparatoria degli assalti, attraverso la lente di uno dei terroristi, Hammad.

L’uomo che cade del titolo non riprende solamente uno degli scatti più tragicamente noti degli accadimenti che vent’anni fa hanno sconvolto il mondo, ma è anche metafora del crollo delle certezze e delle convinzioni che sono seguite agli attentati dell’11 settembre. De Lillo, che ha fatto del terrorismo uno dei “fil rouge”  della sua opera, ha saputo “trasformare un trauma in arte”.

Il disco – “The rising”, Bruce Springsteen – 2002

Il cantore dell’America profonda, il raccontastorie “nato negli Usa”, come da titolo di uno dei suoi brani più famosi, non poteva non mettere in musica le sue riflessioni e suggestioni sull’11 settembre. L’album “The rising”, uscito poco meno di un anno dopo gli attentati contro Torri Gemelle e Pentagono, secondo i critici musicali è una delle opere che, più di tutte, ha aiutato l’America a guarire dalle ferite dell’11 settembre. O almeno a provarci.

Il disco, il dodicesimo in studio del Boss con la sua E Street Band, offrì “luce e conforto” in uno dei momenti più bui della storia americana. Su “The Rising” e sulla scelta di dedicare un concept album all’11 settembre c’è un gustoso aneddoto: un giorno, dopo che Springsteen aveva già iniziato a pensare alla possibilità di realizzare un intero album sulla tragedia a stelle e strisce, il Boss stava tornando da una passeggiata sulla spiaggia, quando un automobilista gli urlò, sporgendosi dal finestrino, “Abbiamo bisogno di te!”. Un episodio, ha detto lo stesso Springsteen, che “mi fece pensare che avevo del lavoro da fare”.

The Rising non è solo un album di grande rock, il ritorno a un suono più pieno e grintoso dopo episodi segnati da un fragile e ombroso intimismo, ma è anche una riaffermazione della speranza. “Una strada – hanno detto i critici – che conduce fuori da uno dei periodi più cupi della storia americana, attraverso una sorta di redenzione”.