
Copertina del libro di Valentina Pitzalis (dettaglio)
Milano, 8 marzo 2016 - È difficile credere che una donna bruciata viva da chi diceva di amarla possa trovare la forza di raccontare la sua storia. Non in tribunale o in un’intervista, ma in un libro che ripercorre senza reticenze l’intera, terribile vicenda di cui è stata protagonista e vittima. Lo ha fatto Valentina Pitzalis, a 27 anni ridotta a una torcia umana - il 17 aprile 2011 - da suo marito Manuel, morto tra le fiamme. In questi quasi cinque anni, come lei stessa dice, la sua vita è stata una dura e dolorosa lotta per salvarsi “come una fenice che rinasce dalle proprie ceneri”. La testimonianza è diventata una missione. E con l’aiuto di Giusy Laganà e della sua associazione Fare per bene si è concretizzata nell’autobiografia intitolata “Nessuno può toglierti il sorriso” (Mondadori).
Valentina, lei stessa in copertina definisce il volume “Una storia d’amore e di violenza. Una lezione di coraggio e di speranza”... «Sono due parti di un tutto, entrambe essenziali. Non l’ho scritto con uno spirito di vendetta o rancore, bensì come messaggio di forza e apertura al futuro: con la voglia di vivere si può trasformare la più terribile delle esperienze in un’opportunità di rinascita per sé e per gli altri».
Eppure ciò che le è accaduto non si augurerebbe al peggior nemico. «Certo. Nei primi mesi dopo il tentato omicidio imploravo i medici del Centro grandi ustionati di Sassari di uccidermi e mettere fine alle mie sofferenze. Non so neppure io dove ho trovato la forza di ricominciare a sorridere. Ma la prevenzione resta ilprimo e più importante dei miei obiettivi, tanto che percorro instancabilmente l’Italia da nord a sud per andare a raccontare la mia storia ai ragazzi delle scuole superiori. Non voglio essere un esempio, ma un monito».
E infatti c’è molta analisi autocritica nel libro. Quali sono state le sue “colpe”? «Ho fatto grandi errori di ingenuità. Ero molto giovane quando ho incontrato Manuel. Ho scambiato per amore la sua gelosia patologica, la sua ossessione di possesso assoluto. Mi sono illusa di poterlo aiutare e salvare assecondandolo, annullando me stessa. Un tragico sbaglio pagato a caro prezzo. Una “sindrome della crocerossina” che contagia troppe donne. I risultati li leggiamo spesso in cronaca nera».
Eppure lei dice di aver perdonato Manuel. «Ho perdonato lui, perché era malato. Avrebbe avuto bisogno di un aiuto psichiatrico che non ha potuto e voluto cercare. Non posso perdonare il gesto atroce che ha cancellato il mio volto e mi ha reso una disabile: mi è stata amputata la mano sinistra e ho subito già molti costosi interventi per recuperare la funzionalità della destra. Proprio in questi giorni ho provato per la prima volta una protesi che ancora non mi posso permettere, ma forse prima o poi sì...».
Che cosa dice agli studenti? «Proprio ieri ho incontrato 250 ragazzi calabresi di quinta superiore. Io avevo poco più della loro età quando ho conosciuto Manuel. Ero una ventenne sveglia e autonoma, ero andata da sola a lavorare in Germania. Ma sono caduta nella trappola. Non ho capito che il primo dovere di ognuno è il rispetto per se stesso, il secondo quello per gli altri».
Esiste in Italia una sottovalutazione del problema violenza secondo lei? «Purtroppo sì. Non si comprende l’importanza dell’educazione ai sentimenti nelle scuole. E si tende a considerare grave solo il maltrattamento fisico, trascurando le angherie psicologiche, altrettanto pericolose».
Chi è oggi Valentina Pitzalis? «Una donna nuova. Anni fa mi sono trovata di fronte a un bivio: darmi la morte oppure scegliere di vivere, non di sopravvivere. Ho deciso per la seconda ipotesi. Con l’aiuto di persone splendide che non finirò mai di ringraziare ho imparato ad accettarmi. Non mi chiuderò in casa: se a qualcuno dà fastidio vedere il mio volto devastato dal fuoco non ha che da voltarsi dall’altra parte. Uso l’autoironia come scudo. E mi riempie di gioia l’affetto di tanti. Chi vuole aiutarmi può farlo comprando il libro o attraverso l’associazione Fare per bene. Si tratta di “darmi una mano” in senso letterale. O anche solo di offrirmi su Facebook “Un sorriso per Vale”. Un sorriso che nessuno potrà mai più togliermi».