Da Barella a Beccalossi, l’Inter che va di moda

L’italianizzazione voluta da Marotta dà i suoi frutti e riporta agli anni d’oro del “Becca“ che in uno stand al Meazza ha ritrovato la sua maglia

L’esultanza di Barella senza la maglia dopo aver segnato il gol decisivo all’Hellas

L’esultanza di Barella senza la maglia dopo aver segnato il gol decisivo all’Hellas

Milano, 12 novembre 2019 - Per anni si è disquisito di come lo zoccolo duro dell’Inter fosse formato da un asse straniero. Sudamericano, in particolar modo, con un capitano argentino come Zanetti e tanti altri connazionali mischiati a un nutrito gruppo di brasiliani passati per le stanze di Appiano Gentile. Il corso inaugurato da Giuseppe Marotta, amministratore delegato per la parte sportiva, ha visto la continuazione di un’italianizzazione già avviata in passato in maniera meno evidente con i vari Ranocchia, Candreva, Gagliardini, Politano. Giocatori che fino allo scorso anno avevano avuto un impatto altalenante e che oggi Conte sta provando a rilanciare, ai quali si sono aggiunti due azzurri presto divenuti titolari, Stefano Sensi e Nicolò Barella. 

Il primo ha vinto il titolo di Mvp di settembre 2019 per l’Assocalciatori, il secondo ha impiegato qualche gara per prendersi la scena ma è poi diventato insostituibile. Una sorta di staffetta, dovuta anche ai problemi muscolari accusati dall’ex Sassuolo. Complice la prodezza determinante contro l’Hellas nell’ultimo impegno di campionato, in pochi nella piazza nerazzurra lamentano i 45 milioni complessivi (compresi i bonus) richiesti e accordati al Cagliari per acquistare il centrocampista o i 25 in aggiunta ai 5 già sborsati con cui il club potrà assicurarsi Sensi entro giugno. Barella è un interista doc, passione trasmessa dalla famiglia. Ha Dejan Stankovic come idolo mai nascosto e Radja Nainggolan amico fraterno (condividono il procuratore Alessandro Beltrami). 

Per ironia della sorta ha vestito il nerazzurro proprio quando il belga è stato messo alla porta imboccando il percorso inverso e diventando protagonista della scalata dei sardi, terzi in classifica. Se riuscirà a mantenere un livello così alto nelle prestazioni, il classe ‘97 potrebbe diventare uno dei simboli italiani in grado di riportare la squadra indietro nel tempo, prima ancora dell’era manciniana-mourinhana, quando le vittorie avevano un timbro forzatamente tricolore per le regole interne al campionato. Oltre i tre stranieri non si poteva andare, ad esempio, nell’epoca dello scudetto dei record 1989, quando ai tedeschi Brehme e Matthaus e all’argentino Diaz si univano ragazzi di lunga militanza come Zenga, Bergomi, Ferri, Mandorlini, insieme a innesti determinanti per quel trionfo come Matteoli, Bianchi, Berti o Serena. Andando più indietro nel tempo, al dodicesimo scudetto conquistato da Bersellini in panchina, si ritrovano i Bordon, Oriali, Marini, Altobelli, Beccalossi. 

Proprio il «Becca», celebre per i suoi guizzi e per una polemica sull’esclusione dal Mondiale ‘82 di cui ancora si parla a distanza di decenni, ha postato di recente un’immagine su Instagram che ritrae una casacca con il suo 10 e il nome in bella vista. Era a disposizione sabato scorso in uno tanti baracchini nelle vicinanze del Meazza. «Sono passati 40 anni, ma prima di Inter-Verona vedere su una bancarella a San Siro una maglia dell’Inter con il mio nome e numero 10 mi ha fatto cappottare», il messaggio dell’ex fantasista sui social. Lo zoccolo duro italiano potrebbe non fermarsi ai soli presenti. Marotta ha messo nel mirino altri talenti già esplosi o in procinto di farlo, come Federico Chiesa (per il quale è probabile un’asta con la Juve a fine stagione) ma anche Castrovilli o Tonali, che Mancini ha già convocato in Nazionale maggiore.

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