Elezioni politiche 2018, sulla traiettoria di un disastro

L’Italia e l’ostinazione di Renzi nel non voler farsi da parte

Matteo Renzi

Matteo Renzi

Milano, 31 marzo 2018 - Chi si ricorda più di David Cameron? Il leader conservatore aveva stravinto le elezioni politiche del Regno Unito, ma perse il referendum che lui stesso aveva indetto sulla Brexit: in un minuto si dimise e sparì di scena. In Germania, pochi mesi fa, Martin Schulz candidato socialdemocratico, perse le elezioni che aveva condotto contro Angela Merkel, proclamò l’opposizione. Invano: il suo partito prima lo costrinse a ritrattare e a rinegoziare la grosse koalition con i democristiani, poi lo licenziò. Due casi molto diversi - ne potremmo citare infiniti altri - ma un finale identico che conferma quella che nelle democrazie liberali è una regola non scritta ma molto esigente: chi perde paga e si mette da parte.

La regola  non solo certifica il rispetto della volontà popolare ma serve ad aprire un nuovo ciclo politico nei partiti sconfitti, un nuovo ciclo che non può non cominciare con la scelta di un nuovo leader. A questa regola fa eccezione – almeno per ora – il partito democratico. Eppure Matteo Renzi dopo l’illusorio trionfo delle europee del 2014 di disfatte ne ha subite ben più di una. Già prima del referendum del 4 dicembre 2016 il Pd aveva inanellato un’impressionante serie di débacle in tutte le successive consultazioni amministrative, con conseguente perdita del governo di città e regioni. Dunque, già prima dell’atteso giudizio di Dio sulla riforma costituzionale l’allarme era suonato più volte, eppure venne ignorato o minimizzato o rimosso come fosse dovuto a situazioni locali. Bocciata la sua riforma dal 60 per cento degli italiani Renzi si dimise da premier ma non rinunciò a comandare da dietro le quinte, indicando come successore Paolo Gentiloni, mettendo mano alla scelta di ministri e sottosegretari, cercando di influenzare l’azione del governo. Nel volgere di poche settimane si ricandidò e un anno fa fu rieletto segretario.

Mentre il nuovo ministro degli interni Marco Minniti cercava di riparare i danni causati dall’irresponsabile politica dell’immigrazione praticata da Alfano nei mille giorni del governo Renzi, quest’ultimo si dedicava a sciagurate e sospette incursioni polemiche contro la Banca d’Italia col solo risultato di accendere i fari sui maldestri tentativi della fida Maria Elena Boschi di salvare Banca Etruria. Arresosi tardivamente al dovere di correggere la legge elettorale bocciata dalla Consulta, Renzi - che di alleanze e di alleati non ha mai voluto sentir parlare - fece confezionare il Rosatellum, cioè un tipo di scrutinio elettorale che riconosce e premia le coalizioni. Molti sospettano che immaginasse una futura coalizione con Berlusconi, fatto sta che Renzi riuscì nel capolavoro di favorire l’unica vera coalizione in campo, quella di centrodestra. Siccome il cupio dissolvi e lo spirito autodistruttivo quando ti prendono non ti mollano più, l’ex premier ha condotto la più scialba e sciatta delle campagne elettorali: senza una visione e senza idee, senza un manifesto di ciò che il Partito Democratico voleva e avrebbe fatto per l’Italia. Infine, il giovane leader innovativo, che doveva sconfiggere i populisti di tutta Europa, si è impegnato nella campagna solo per riempire le liste di candidati fedelissimi e per rivendicare i meriti di un passato e di un governo, il suo, che gli italiani avevano già archiviato e sepolto sotto una valanga di No.

(1- continua)

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