SIMONA BALLATORE
Milano

X Factor, Les Enfants: "Eravamo 4 scout in un box di periferia"

Nell’adolescenza passavamo pomeriggi e sere a improvvisare un post rock senza regole

Les Enfants

Milano, 18 dicembre 2016 - Quattro amici cresciuti insieme ma che continuano a essere «Les Enfants». Milano è la colonna sonora della storia di Marco Manini, Francesco Di Pierro, Umberto Del Gobbo e Michele Oggioni, che da un box interrato accanto alla stazione Bisceglie del metrò hanno plasmato insieme il loro «dream pop» che li ha portati a superare i cento concerti in tutta Italia e sotto i riflettori di X Factor 10. Alle spalle due EP, davanti il primo LP che sforneranno nei primi mesi del 2017.

Manini, come nascono i «Les Enfants»?

«Negli anni adolescenziali, da un mix magico e da un box. Siamo cresciuti insieme e ci siamo creati una piccola sala prove. Trascorrevamo pomeriggi interi, serate e nottate a improvvisare un post rock senza regole, ricco di emozioni. Abbiamo suonato in gruppi diversi, più scolastici e quadrati, lì trovavamo la nostra libertà. Erano gli anni in cui eravamo scout, passavamo molto tempo insieme, abbiamo vissuto esperienze molto belle, con la tenda sulle spalle».

Perché questo nome?

«Abbiamo familiarizzato col francese nelle nostre vacanze in Corsica. “Les Enfants” vuole simboleggiare l’approccio anti-scolastico e un po’ naïf, il coinvolgimento emotivo. I Les Enfants sono bambini che giocano ancora adesso in una sala prove, sempre quella, dove dipingono, giocano con i colori, con le parole, con l’arte».

Come è arrivata l’avventura a X Factor?

«Ci hanno scritto dalla redazione di X Factor, sono venuti a sentirci a qualche concerto. Eravamo molto indecisi, poi ci siamo detti: “Proviamo, tanto usciremo subito”. E invece ogni volta passavamo alla selezione successiva e ci hanno preso per il programma. Era strano per noi, non siamo una cover band, a noi piace creare, sperimentare; è stata un’esperienza strana, televisiva, a cui forse non eravamo pronti. Uno stress continuo, ti prendono, spostano, dormi poco, hai quattro giudici che si esprimono su di te; per certi versi era limitante e “faticoso”. Ci siamo guadagnati tutto concerto dopo concerto, facevamo fatica a stare al gioco, ma è stata un’esperienza positiva, ci ha dato tanta visibilità; è la trasmissione più importante e dove ci sono i tecnici più bravi d’Italia. Poi con gli altri 20 concorrenti eravamo una bomba, abbiamo creato insieme e scritto moltissimo, c’era una potenza creativa forte».

E adesso si riparte da qui. Quali sono i vostri luoghi del cuore?

«Il Rock’n’Roll con la serata “Linoleum”, il Magnolia, l’Arci Ohibò. Fuori dal palco, la Statale e il parco Sempione, giro tanto la città in bici e trovo ispirazioni. E nel cuore c’è lui: Mare culturale urbano dove organizzo una rassegna per talenti emergenti».

Il vostro cavallo di battaglia è la canzone «Milano». Qual è il vostro rapporto con la città?

«Ci ha dato moltissimo, è una bella piazza, che potrebbe dare ancora di più. Il rapporto è strano, anche se tutto è iniziato da quel box, a Milano ci siamo arrivati dopo avere tappezzato tutta la Brianza. Siamo partiti dalla periferia per arrivare al centro. È una città che strilla, ma piena di belle cose. La canzone è una fuga dalla città frenetica, un ritorno alla sorgente, ma anche un inno a fare qualcosa di bello per Milano, per farla diventare sempre più umana. Milano è un invito a sognare e a investire sui propri sogni al massimo per non restare soffocati dal cemento».