DIEGO VINCENTI
Cultura e Spettacoli

Sfidando il mito in mascherina: qui si prova la Grande abbuffata

Lo spettacolo di Michele Sinisi è atteso al debutto l’11 marzo

Alcuni momenti delle prove della produzione Elsinor

Milano, 6 febbraio 2021 - Tognazzi, Noiret, Michel Piccoli e Mastroianni. In regia Marco Ferreri, il numero 10. Sulle fasce gente come Andréa Ferréol, Maffioli, la grandissima Gitt Magrini, Mario Vupiani, Rafael Azcona, Philippe Sarde... Insomma: una squadra che avrebbe intimidito anche l’Italia Mundial dell’82. Ma Michele Sinisi evidentemente non ha paura di niente. E da qualche giorno ha aperto il suo cantiere per "La grande abbuffata", nuova produzione di Elsinor con il Metastasio di Prato, l’11 marzo attesa al debutto in Toscana, per poi trasferirsi da metà maggio qui al Teatro Fontana. Chissà.

Intanto però in via Boltraffio si è nel pieno delle prove. Con Francesco Maria Asselta ad affiancare il regista ai testi. Mentre sul palco sono Stefano Braschi, Ninni Bruschetta, Gianni D’addario, Sara Drago, Marisa Grimaldo, Stefania Medri, Donato Paternoster e Adele Tirante a dar vita a un disperatissimo apologo sulla vita e sulla morte. Su una società mangiata dal consumismo. Sulla voglia di ridere e di perdersi da qualche parte, nel sesso e nei piaceri. "La Grande abbuffata è un racconto umano e artistico nel senso più concreto – sottolinea Sinisi –. L’obiettivo di Ferreri era farne lo specchio del tempo, in cui la società occidentale mostrava i segni dello sgretolamento, in cui la struttura storica e le radici del suo stesso pensiero conclamavano il principio della fase dissolutoria". Quattro uomini frustrati a vari livelli, decidono di suicidarsi chiudendosi in una casa nei dintorni di Parigi. Solo che per farlo han deciso di mangiare fino alla morte. Di vivere fino alla morte. In un viavai di prostitute e confessioni. Con una maestrina ad aggiungersi materna al gruppo.

A distanza di quasi mezzo secolo (era il 1973) facile comprendere la lucidità dell’analisi di Ferreri. Che sul palco diventa il canovaccio per una ricerca che si lascia sedurre da una grammatica multidisciplinare. Di corpi e di improvvisazioni. Di percorsi da cristallizzare e di una visione che si ribadisce feroce nei confronti della società. Ma che in realtà ha la capacità anche di indagare con identica ispirazione negli angoli più complessi dell’umano. Dell’individuo. Lì dove si nascondono fragilità e sfumature. "Arriviamo alla teorizzazione dell’attimo e del principio di ogni agire – conclude il regista –, abbracciando un’ignoranza vitale e biologica tale per cui l’istinto selvaggio sbocca in un accumulo mostruoso e autodistruttivo".

Ha sempre un fascino peculiare seguire le prove. Ascoltare i dubbi, essere testimoni di un qualcosa che cresce un passetto alla volta, con i tempi della scena e del pensiero. L’accatastarsi delle idee, ragionando a voce alta su cosa tenere e cosa scartare. Qui su un palco esploso: un tavolo, la cucina (ovviamente), una tastiera, dei camerini, un water. Le mascherine a filtrare i desideri. Il mondo che si fa strada attraverso uno schermo. Ormai enorme, ingestibile.