Tommaso Sacchi: "Ecco il Festival dello Stupore"

Il curatore della rassegna racconta Cross Award, regno del contemporaneo

Tommaso Sacchi, curatore della rassegna (ph. Marlin Dedaj)

Tommaso Sacchi, curatore della rassegna (ph. Marlin Dedaj)

Milano, 7 ottobre 2018 - Un Festival dello Stupore. Idea suggestiva. Che dà la misura di quanto si cerchi il nuovo in Cross Award, premio internazionale curato da Tommaso Sacchi e organizzato da Lis Lab di Antonella Cirigliano. Realtà composita. Che si sviluppa anche nel festival omonimo. Ieri sono invece iniziate le residenze per i tre gruppi vincitori della quarta edizione: Shamel Pitts; AjaRiot; Phoebe Zeitgest + The Virge of Ruin (con il progetto ASPRA). Due settimane al Teatro Il Maggiore di Verbania e a Casa Ceretti. Sabato 20 la visione dei lavori, domenica 21 tavola rotonda. Insomma, atmosfera internazionale. Con il lago ad osservare placido e un po’ sorpreso. A curare il tutto Tommaso Sacchi, 35 anni, a capo della Segreteria Cultura di Firenze e direttore artistico dell’Estate Fiorentina, dopo l’esperienza all’assessorato Cultura di Milano.

Tommaso, come nasce il progetto?

«Dall’idea che i luoghi del territorio siano ideali per lavorare sulle arti performative. Il lago è un’area vergine per il linguaggio del contemporaneo, Cross è quindi una sfida e uno stimolo per le amministrazioni locali per incrociare le traiettorie dell’arte e creare un pubblico di riferimento. Da tutto il mondo sono interessati a lavorare in una villa neoclassica o al Maggiore, palcoscenico pazzesco, arrivato da queste parti come un meteorite».

Un incubatore di idee?

«Sì, esattamente. Qui prendono vita prima di circuitare in contesti internazionali, portandosi dietro il luogo dove tutto è iniziato. Credo sia il potere generativo del lago, ancora non del tutto svelato».

Cosa comporta vincere Cross?

«Il premio distribuisce 20 mila euro, facendo poi seguire i lavori da un parterre di tutor di grandissima qualità, basti pensare ad Adrian Paci o Manuel Agnelli nelle scorse edizioni».

Com’è il rapporto col pubblico?

«Va avvicinato, i teatri vivono di fidelizzazione, non è facile impiantare l’iper-contemporaneo su un terreno così vergine. Sviluppiamo il progetto cercando di sensibilizzare la comunità. Cross è un piccolo tassello ma necessario, grazie anche al supporto che continuiamo ad avere dall’amministrazione».

Due parole sui vincitori.

«Sono arrivate 200 candidature da ovunque nel mondo. Abbiamo scelto due progetti italiani e uno statunitense, cercando di intuirne il reale potenziale e il possibile legame coi luoghi della residenza. Noi stessi siamo curiosi di vedere i risultati. Perché anche un progetto leggibile e dettagliato come quello di Giuseppe Isgrò per Phoebe Zeitgeist, mantiene un ampio margine di sorpresa. Mi piace vedere Cross come una specie di Festival dell’inaspettato, dello Stupore».

Come è stato il legame con gli spazi nelle scorse edizioni?

«Mi viene in mente Alexis Blake a Villa San Remigio. Era in crisi perché il luogo non si sposava con la sua idea. Poi ha scoperto il giardino decadente e ne ha fatto una scenografia straordinaria che tuttora utilizza per comunicare il suo lavoro. È un po’ da pazzi ma succede così. C’è un fortissimo spirito in questi luoghi».

Per questo torni da queste parti?

«La mia vita e il mio lavoro sono ora legati al 99,9% a Firenze. Ma ogni tanto mi piace tornare all’ovile, restituire idee a un territorio che mi ha formato e cresciuto. E poi è affascinante il rapporto fra locale e globale».

è arrivato su WhatsApp

Per ricevere le notizie selezionate dalla redazione in modo semplice e sicuro