Vivere a 34 gradi fra Rogoredo e Timbuctù

Claudio

Negri

Un po’ più al largo di Rogoredo, ho intravisto i tetti dorati di Timbuctù lievitare nella calura. Un torrido vento di paglia, da circo in bolletta, alimentava il miraggio. Non pensavo che fossero così vicini quel vento, quella paglia, quei tetti. Allora chiedo al mio solerte assistente vocale: "Ehi, che tempo fa a Timbuctù?". "Oggi a Timbuctù – fa subito sapere l’assistente – ci saranno temporali sparsi. Adesso ci sono 34 gradi. La temperatura massima sarà di 37 gradi, la minima di 27 gradi". To’, si sta quasi meglio a Timbuctù che in Pianura Padana. Là, almeno, temporali sparsi, qui nemmeno una mezza nuvola commossa. Alla radio una voce impostata e sadica annuncia: "Oggi potranno essere raggiunti i 40 gradi, percepiti 43".

Ecco, questa storia della temperatura percepita mi suscita pulsioni omicide nei confronti dell’annunciatore, di certo immerso nel fresco condizionato dello studio. Facile fare il sensazionalista con l’afa degli altri. E poi, la percezione della temperatura non è soggettiva? "Ho visto gente di Fortaleza scossa dai brividi e con le labbra viola a 25 gradi...". Me lo raccontava il caro e compianto collega Franco Rossi, amante del Brasile e, forse, della meteorologia: abituati alla temperatura costante dei tropici, i cittadini di colaggiù rabbridiscono – stante la testimonianza di Rossi – alla minima variazione. E la percezione del caldo? Forse ci stiamo abituando a essere sempre meno temperati. Quasi un secolo fa il grande regista americano Billy Wilder, ancora giovane suddito austroungarico, faceva il giornalista di costume divertendosi un mondo. In un brillante pezzo, Wilder descrive i disagi e le angosce di Vienna soggiogata da un’ondata di calore. Titolo dell’articolo: “Vivere a 29 gradi”. Ironia del riscaldamento globale: quello che oggi per noi sarebbe un clima di fresche delizie, dai viennesi degli Anni Venti del secolo scorso era percepito come il vestibolo dell’inferno.

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