Vaccini anti-Covid: la Lombardia guarda ai modelli Scozia e Israele

Iniezioni anticipate nelle zone a rischio variante. Il coordinatore della campagna Bertolaso: possibili rallentamenti per i meno a rischio della fase 1-bis

La Lombardia spera nel rapido ok a Sputnik

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Milano, 24 febbraio 2021 -  "Siamo in guerra" scandisce Guido Bertolaso, timoniere della campagna antiCovid che ieri è passata ufficialmente alla fase operativa. La variante inglese che in certi pezzi di Lombardia, dice la vicepresidente al Welfare Letizia Moratti, mostra "un tasso di diffusione del contagio del 39% superiore rispetto al Covid senza variante", "non si sta diffondendo solo in provincia di Brescia - avverte Bertolaso -. Bisogna cercare di rallentarla". E ciò implica "adottare nuove strategie rispetto a quelle degli ultimi 12 mesi, fondate sulle chiusure forzate come strumento di prevenzione: non possiamo sempre e solo inseguire il virus". Chiudere ancora quindi, per arginare la terza ondata nel Bresciano e nei comuni in fascia "arancione rafforzata" o "rossa", ma lì poi vaccinare "sempre e comunque", anche con "il coraggio di prendere decisioni che in tempo di pace richiederebbero maggiore riflessione e condivisione".

Come quella di puntare il bazooka dei vaccini su 23 comuni lungo il "cordone sanitario" al confine Sud tra le province di Bergamo e Brescia, accelerando la vaccinazione degli ultraottantenni e poi anticipandola per oltre trentamila 60-79 enni; lo stesso è previsto, in seguito, per i loro coetanei di altri comuni bresciani spostandosi verso Est, e da subito per quelli di Soncino nel Cremonese, di Mede in provincia di Pavia (qui fin dagli over 50), mentre a Bollate dopo gli ultraottantenni saran mandati avanti gli insegnanti e a Viggiù, paese di frontalieri, l’iniezione antiCovid sarà offerta a tutti i maggiorenni tra gli oltre cinquemila abitanti. Con possibili ricadute che Bertolaso non nega sugli altri lombardi in attesa di vaccinazione: se per gli ultraottantenni "proseguirà con andamento lento, ma non rallenterà", potrebbero dover aspettare appartenenti a "categorie non particolarmente a rischio" incluse nella fase 1-bis, che spazia dai dentisti alle residenze per disabili. Perché le munizioni sono scarse e soggette a continui aggiornamenti: in marzo in Lombardia sono attese un milione 31.621 dosi di vaccino, tra 573.300 di Pfizer, 137.600 di Moderna e 320.721 di AstraZeneca dopo l’ultimo taglio comunicato dall’azienda in notturna.

Il governatore Attilio Fontana dice che chiederà al Governo più vaccini, che "la direzione" è quella presa dal ministro leghista Giancarlo Giorgetti che oggi incontra le aziende farmaceutiche italiane per parlare di produzione interna, comunque bisognosa di "cinque o sei mesi" per partire. Bertolaso si augura che l’approvazione per l’Ue del russo Sputnik, già benedetto da Lancet cioè "la Bibbia dei medici", "vada in orbita presto", ma intanto "bisogna vaccinare con i vaccini disponibili". Eventualmente moltiplicarli: "Abbatteremo le scorte, stiamo riducendo quelle definite da Roma", chiarisce il timoniere, quel 30% dei vaccini forniti da tener via per i richiami. Il suo modello sono i Paesi che han scelto di somministrare la prima dose a più persone rimandando la seconda: la Scozia, "dove la copertura a 42 giorni è del 60% sia per Pfizer che per AstraZeneca", e Israele dove la vaccinazione singola e rapida degli over 60 ha abbattuto i ricoveri in ospedale. Una strategia per la quale è indispensabile il placet di Roma, e l’assessore Moratti ha già iniziato a muoversi intorno a un tavolo tecnico ristretto, finalizzato a "velocizzare le decisioni e non lavorare a compartimenti stagni", al quale siedono il ministero della Salute, l’Aifa, l’Istituto superiore di sanità, l’Agenas che veglia sui servizi sanitari regionali e altre tre Regioni (Emilia-Romagna, Veneto e Marche) oltre alla Lombardia.

Il primo risultato è stata la revisione della posizione dell’Aifa che ha appena allungato a 65 anni d’età e a 12 settimane per il richiamo i parametri di somministazione di AstraZeneca. La settimana scorsa il Cts lombardo ha mandato a quello nazionale la richiesta formale di poter rinviare la vaccinazione, o almeno la seconda dose, a sei mesi per chi ha già avuto il Covid, e "ci risulta sia in fase di definizione un’autorizzazione da parte del ministro", spiega Moratti. E aggiunge: "Stiamo ripresentando una richiesta di autorizzazione ad allungare l’intervallo tra le due dosi anche per Pfizer e Moderna, sempre sulla base delle evidenze scientifiche e delle esperienze di altri Paesi". Sarebbe la mossa definitiva, per intraprendere la via israelian-scozzese che all’eradicazione del virus privilegia l’abbattimento della malattia.  

Intanto la Regione lavora sul fronte del personale vaccinatore, l’altra risorsa scarsa che ostacola l’obiettivo di coprire i lombardi vaccinabili entro giugno. Il fabbisogno stimato, con relativo budget, per il 2021 è di 550 medici liberi professionisti (al costo di 23 milioni 760mila euro) e 800 infermieri e studi professionali (altri 25 milioni 920mila euro), oltre a 104.026 ore aggiuntive per i medici del servizio pubblico e 166.442 per gli infermieri (8.322.113 euro per ciascuna categoria). Quanto agli specializzandi, che la legge di stabilità consente di impiegare per un solo mese, "col ministro Cristina Messa abbiamo concordato un emendamento che speriamo sia inserito in uno dei prossimi decreti", per poterli ingaggiare a vaccinare a pagamento il sabato e la domenica.  

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