PAOLO VERRI
Cronaca

Micro telefono nascosto nel corpo, detenuto tradito dalla radiografia

Piazza Filangieri, cellulare scoperto solo dopo perquisizione personale del carcerato con il metal detector

Un micro telefono

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Un micro cellulare portato in cella. Meglio: tenuto nascosto addosso in una parte intima, quasi impossibile da trovare. A meno che qualcuno non sappia del “nascondiglio“ e lo spifferi in giro. Dev’essere andata così qualche settimana fa a San Vittore, quando dopo aver sentito circolare la voce, un sovrintendente di polizia penitenziaria ha ordinato la perquisizione personale del detenuto sospettato di “occultare“ il prezioso cellulare. Il metal detector ha fatto il suo dovere rilevando la presenza di "un corpo estraneo in sede addome-retto" dell’uomo, come recita il verbale.

Poiché il soggetto in questione, G. N., un 40enne di origini palermitane, negava di aver ingerito qualcosa di metallico in modo consapevole o per errore, a quel punto veniva accompagnato al Pronto soccorso del carcere, dove l’apposita radiografia inquadrava perfettamente il problema o, meglio, il telefono. E il medico non poteva che disporre il trasporto del paziente in ospedale "per la rimozione". Solo a quel punto l’uomo affermava di essere in grado di “recuperare“ da solo il micro cellulare. E in effetti all’interno del locale docce, dopo apposita manovra, nelle mani dei poliziotti finiva un L8Star di ultima generazione, però privo di sim card e con memoria vuota.

La prima versione fornita dal proprietari è stata di aver portato con sé il telefonino al momento dell’ingresso in carcere, circa un mese prima, dopo aver saputo dal suo avvocato che gli erano stati revocati i “domiciliari“. Una linea che non convinceva però gli addetti ai lavori. E poco più tardi, in effetti, N. cambiava difesa sostenendo di aver trovato il prezioso gingillo casualmente nella sua cella mentre armeggiava tra due bilancette per sistemare qualche oggetto. Fatta la scoperta, aveva deciso di nascondersi il gingillo addosso, nel luogo più protetto. Consapevole delle conseguenze disciplinari (e pure penali) che quello scherzo avrebbe potuto riservargli, il 40enne aveva però voluto subito escludere ogni complicità del suo compagno di cella, un 60enne che ad ogni buon conto era stato sentito a fini "investigativi". E quello era letteralmente caduto dalle nuvole, a leggere il verbale del suo colloquio con i poliziotti che, in effetti, propendevano per la sua sincerità "apparendo per tipologia di soggetto, cultura sociale ed alla prima carcerazione" un personaggio estraneo alle dinamiche carcerarie e delinquenziali.

Comunque non è certo il primo micro cellulare che spunta a sorpresa in carcere. Qualche mese fa era successo in un reparto del carcere al alta sicurezza di Opera. Un agente di polizia penitenziaria era sicuro di aver sentito un trillo di notifica, una sera mentre passava vicino alle stanze, e da lì era scattata l’indagine interna e poi la perquisizione in una delle celle. E alla fine, mimetizzato alla grande su un pensile del bagno tra barattoli di generi alimentari, era spuntato fuori l’aggeggio dotato anche di minuscolo cavo di ricarica. I proprietari dei microcellulari in carcere saranno processati per il reato specifico introdotto da poco, (prima era solo un illecito disciplinare) e che ora prevede da 1 a 4 anni per chi "introduce o detiene telefoni cellulari o dispositivi mobili di comunicazione all’interno di un istituto penitenziario". Anche a Opera il proprietario del micro telefono, un italiano 38enne, si era subito assunto la responsabilità dei fatti per evitare che anche i compagni di cella dovessero risponderne. "Complimenti a tutti voi, devo riconoscervi che siete stati bravi", disse sportivamente il giovane (stando agli atti) rivolto ai poliziotti che avevano perquisito la stanza. "D’altronde - aggiunse un po’ piacione - stiamo a Opera! Sono stato io un coglione a non buttarlo via".