NICOLA PALMA
Cronaca

Strage di via Palestro, processo da rifare per il boss Benigno: "Forse non c’entra"

Milano, a oltre trent’anni dalla bomba mafiosa la svolta della Cassazione. Riaperto il caso di quello che è considerato uno degli esecutori. Da rivalutare le parole del pentito Spatuzza: "Non mi risulta ci fosse"

Agenti sul luogo della strage in via Palestro

Agenti sul luogo della strage in via Palestro

La Cassazione dice «sì» all’istanza di revisione della sentenza che ha condannato all’ergastolo Salvatore Benigno per la strage di via Palestro del 27 luglio 1993. I giudici hanno annullato la sentenza della Corte d’appello di Torino che esattamente un anno fa ha rigettato l’istanza: il caso dovrà essere quindi riesaminato, approfondendo "in istruzione dibattimentale" le dichiarazioni del collaboratore di giustizia Gaspare Spatuzza. Allo stesso tempo, i giudici hanno respinto la medesima richiesta per gli attentati alle chiese di San Giovanni in Laterano e San Giorgio al Velabro a Roma, avvenuti il giorno dopo, ritenendo che in quel caso "il coinvolgimento di Benigno ha trovato nel giudizio di cognizione ordinario prove dirette".

La decisione della Cassazione potrebbe contribuire a riscrivere la storia di un eccidio sul quale sono rimaste ancora diverse ombre: dall’identità dei basisti alla decisione di scegliere come obiettivo il Padiglione d’arte contemporanea di Milano, fino ai recenti accertamenti investigativi su Rosa Belotti. La sera del 27 luglio di 31 anni fa, l’agente della polizia locale Alessandro Ferrari notò la presenza di una Fiat Uno, parcheggiata di fronte al Pac, da cui fuoriusciva un fumo biancastro e allertò i vigili del fuoco, che accertarono la presenza di un ordigno. Qualche istante dopo, l’autobomba esplose, uccidendo Ferrari, i pompieri Carlo La Catena, Sergio Pasotto e Stefano Picerno e il quarantaquattrenne Moussafir Driss.

Inchieste e sentenze, alimentate dalle dichiarazioni di diversi “pentiti”, hanno stabilito che a ideare e progettare le stragi del ’93 (Firenze, Milano e Roma) furono i vertici di Cosa Nostra: da Totò Riina a Bernardo Provenzano, da Matteo Messina Denaro ai fratelli Filippo e Giuseppe Graviano, fino a Leoluca Bagarella e Giovanni Brusca. Nel 1998, Cosimo Lo Nigro, Giuseppe Barranca, Francesco Giuliano, Gaspare Spatuzza, Luigi Giacalone, Salvatore Benigno, Antonio Scarano, Antonino Mangano e Salvatore Grigoli sono stati condannati come esecutori materiali della strage. Nel 2008, le rivelazioni di Spatuzza hanno tirato in ballo, tra gli altri, anche Marcello Tutino, che però è stato assolto in via definitiva nel 2018 dall’accusa di aver ricoperto il ruolo di basista. Lo stesso collaboratore di giustizia ha scagionato anche Tommaso Formoso, riferendo che alla strage aveva preso parte solo il fratello Giovanni, ma le sue parole non sono state ritenute sufficienti dalla Corte d’appello di Brescia per dare l’ok nel 2012 alla revisione del verdetto che lo ha condannato all’ergastolo.

Ora tocca a Benigno, che, proprio sulla base di quanto messo a verbale da Spatuzza, ha chiesto tramite il suo legale Salvatore Priola la revisione. Il “pentito” ha spiegato "che Benigno non componeva, unitamente a lui, il gruppo degli esecutori materiali della strage di via Palestro a Milano". Tuttavia, i giudici di Torino hanno scritto che queste dichiarazioni non hanno "la forza di scardinare la granitica piattaforma probatoria, costituita dall’accertata unitaria programmazione di entrambe le stragi, quella in Milano e quella del giorno successivo in Roma, dell’altrettanto provata unitaria regìa che si avvalse di uno stesso modus operandi, qualificato da una suddivisione dei ruoli tra i partecipi".

Per la Cassazione non basta. Si parte da una premessa: è vero che il collaboratore di giustizia Antonio Scarano ha detto che Benigno era a Roma il 27 luglio e che "poi andò via", "ma ciò non esclude che fosse giunto a Roma da Milano o che a Milano si diresse lo stesso giorno". Detto questo, annotano gli ermellini, "la sentenza impugnata non ha aggiunto dati di prova capaci di ricostruire i movimenti di Benigno tra le due città e ha ritenuto sufficiente richiamare il ragionamento indiziario che trova fondamento nella premessa di una regìa unitaria e concertata tra i due progetti criminosi". Di più: il verdetto non ha spiegato "con la necessaria sufficienza" quali siano "le ragioni specifiche che giustificano la refrattarietà del complesso indiziario posto a fondamento dell’affermazione della responsabilità a fronte delle dichiarazioni di Gaspare Spatuzza, esecutore materiale degli attentati, che ha escluso che Benigno fosse presente nel gruppo di fuoco in Milano".

Tradotto: "In assenza di prove che direttamente attestino il coinvolgimento di Benigno nell’attentato milanese, a differenza di quel che invece attiene ai fatti romani", la sentenza che ha negato la revisione "ha mostrato di non misurarsi, con il necessario grado di approfondimento, con la diversità delle piattaforme probatorie delle due condanne". Da qui la decisione della Cassazione di disporre un nuovo esame dell’istanza. Solo per via Palestro.