Sfruttamento del personale nei locali di Milano: orari no stop, zero tutele, paghe da fame

Tra 12 e 13 ore al giorno per 800 euro al mese. "Succede anche nei ristoranti stellati", denuncia il sindacato

Un cameriere al lavoro (Foto di repertorio)

Un cameriere al lavoro (Foto di repertorio)

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Milano - Contratti in grigio, orari allucinanti, paghe basse, festivi e weekend no-stop perché il ristorante è come lo show della canzone dei Queen: deve sempre andare avanti. Storie di sfruttamento fra sala e fornelli, quelle che raccolgono gli uffici vertenze dei sindacati. Fare generalizzazioni per il comparto della ristorazione sarebbe sbagliato ma la piaga dei trattamenti scorretti esiste anche nella metropoli “stellata“. "Dal nostro osservatorio in Lombardia possiamo dire che la situazione prevalente non è il lavoro nero ma quello “grigio“, regolarizzato solo in parte: un full time camuffato da part time con la differenza pagata in nero, con elusione fiscale e contributiva", denuncia Michele Tamburrelli, segretario generale Uiltucs Lombardia.

Le prime due puntate dell’inchiesta dedicata da Il Giorno al mondo del lavoro
Le prime due puntate dell’inchiesta dedicata da Il Giorno al mondo del lavoro

Un cuoco al terzo livello per un full time dovrebbe guadagnare di base 1.659 lordi: col part time al 50% la retribuzione si ferma a 829 euro. Il resto è dato fuori busta, alleggerito di straordinari, notturno, tasse e contributi. "Assumere il dipendente per 4 ore al giorno facendolo però lavorare molte più ore è una pratica non circoscritta al barettino sotto casa, può riguardare ristoranti di un certo standing" conferma Roberta Griffini, segretaria Filcams Cgil Milano.

«L’80% del personale che si rivolge da noi è assunto part time ma rimane in cucina 40, anche 50 ore. Stiamo seguendo il caso di una giovane con contratto da 30 ore: i turni sono da 12-13 ore al giorno per 800 euro di stipendio. Lo scandalo si verifica anche nei ristoranti stellati, con stagisti che sono lavoratori gratis trattati nel peggior modo, come i concorrenti nei talenti show culinari" dettaglia Gianfranco Besenzoni, sindacalista di Usb Milano. E anche dove si rispetta il perimetro del contratto nazionale, "c’è il problema delle condizioni lavorative con una richiesta estrema di flessibilità che rende impossibile la conciliazione fra lavoro e vita personale" aggiunge Griffini.

Altro tasto dolente: gli straordinari. "Il nastro orario in un pubblico esercizio è sempre molto ampio. Quello che può succedere è che gli extra non siano pagati, oppure lo siano in nero o finiscano sotto voci diverse nel cedolino. Così le retribuzioni diventano basse considerando il tempo di lavoro impegnato" spiega Tamburrelli. Ribellarsi all’ingiustizia può costare caro, con lettere di licenziamento. E, come ricorda Griffini della segreteria Filcams Cgil Milano, "se il ristorante ha meno i 15 dipendenti non c’è la tutela dell’articolo 18. Se si decide di fare causa al massimo si ottiene un’indennità di risarcimento irrisoria".

«Se si lavora in grigio il giudice vuole testimoni. Ovviamente nessun collega è disposto a metterci la faccia e quindi si evita la vertenza. Come Usb da tempo sosteniamo la necessità di introdurre nel comparto l’obbligo di cartellino o badge". E le doglianze degli imprenditori che non riescono a trovare personale per colpa del reddito di cittadinanza o dell’"oblomovismo" dei giovani? La questione, secondo i sindacati, è un po’ più complessa. "Quando bar e ristoranti hanno chiuso durante la pandemia chi lavorava in nero o in grigio si è ritrovato senza indennità e ha cambiato settore. Lo scarso appeal dei fornelli è dovuto, oltre alla questione contrattuale, anche alla scarsa mobilità interna, con anni di gavetta per rimanere nello stesso posto" dice Griffini. "Gli imprenditori dovrebbero rimodulare l’offerta. Invece anche quest’estate ci ritroviamo a leggere gli stessi annunci, con contratti che scadono a settembre" rimarca Tamburelli.

 

 

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