Macerie e paura: quei 135 rifugi nelle viscere di Milano /VIDEO

Da via Bodio 22 al "bunker di Mussolini": un quarto di queste strutture sono scomparse, quasi tutte sono chiuse

Un rifugio antiaereo della Seconda Guerra Mondiale

Un rifugio antiaereo della Seconda Guerra Mondiale

Milano 26 gennaio 2019 - A Milano, come in altre città, durante la Seconda guerra mondiale si pensò di sfruttare i locali cantinati come rifugi antiaerei. «L’idea era che gli ordigni non avrebbero raggiunto le cantine, anche se l’assunto non era vero al 100%. Erano denominati “rifugi collettivi” o casalinghi. I soffitti venivano puntellati con travi e centine di legno, in genere erano provvisti di acqua potabile e gabinetti. Se l’edificio veniva distrutto e il vano scale occluso dalle macerie si poteva uscire attraverso uno o più lucernai prescelti: la cosiddetta uscita di soccorso» spiega lo speleologo e scrittore Gianluca Padovan. Quanti erano i rifugi a Milano? L’ipotesi è che alla fine del conflitto, nel 1945, se ne contassero cinquecento, ma non è suffragata da documenti catastali. «Abbiamo solo un fascicolo risalente al 5 ottobre 1940 contenente le schede relative a 135 rifugi antiaerei pubblici. Un quarto di questi sono scomparsi. Molti corrispondevano a scuole».

I rifugi non sono da confondersi con i bunker, strutture sotterranee in cemento armato, a prova di bomba e spesso di sostanze chimiche attraverso impianti di ventilazione e filtrazione dell’aria. Il più celebre è il cosiddetto “Bunker di Mussolini” (in realtà destinato al Prefetto) sotto il giardino di Palazzo Isimbardi. Padovan di rifugi antiaerei ne ha visitati almeno 60. A Milano di aperto sempre al pubblico c’è solo quello gestito dall’associazione Milanoguida. Si tratta del rifugio antiaereo “Numero 87” in viale Luigi Bodio 22, nei sotterranei della scuola primaria «Leopardi», un tempo dedicata a Rosa Maltoni Mussolini, madre del Duce. Se oggi è accessibile è merito, oltre che dell’impegno di Padovan, dell’ostinazione della dirigente scolastica dell’istituto comprensivo Maffucci, Laura Barbirato: «Nel 1996, appena insediata, una maestra mi regalò il libro di un famoso ex studente della scuola, Ermanno Olmi. In “Ragazzo della Bovisa” c’erano molte pagine dedicate al rifugio. Quando lo vidi la prima volta era pieno di macerie». Per renderlo accessibile passano 15 anni: lo sgombero delle macerie (non tutte) è avvenuto nel 2010, la riapertura nel 2011. «La scheda catastale d’epoca c’informa che il rifugio aveva una superficie di 220 metri quadrati, poteva contenere 450 persone, suddiviso in dieci celle e dotato di due gabinetti alla turca. Fu poi ingrandito per ospitare fino 1.500 persone, non solo alunni ma anche civili; è tra i più grandi di Milano» informa la preside che autorizza le visite degli alunni dalle scuole di tutta Italia «per far comprendere il carattere terribile della guerra, non solo per i soldati. Le sofferenze più forti le sopportarono i civili». Purtroppo quasi tutto l’arredo originario, come cattedre, lavagne e sedie d’epoca, è stato gettato via a metà anni ’90 per l’entrata in vigore dell’allora legge 626 e il connesso rischio d’incendio. Di originale sono rimaste le indicazioni scritte, una scala e poco altro.

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