Rebus elementari Tempo pieno o compiti a casa

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Piero

Lotito

Cercare in città un posto dove lasciare l’auto procura sempre una certa ansia. Il parcheggio a pagamento, se vogliamo, è una grande invenzione: puoi lasciarci l’auto quanto vuoi e ti allontani a sbrigare le tue faccende. Custodito o incustodito, il parcheggio è uno degli essenziali ingranaggi, chiamiamolo così, della vita metropolitana. Più o meno come oggi sono concepiti gli asili e anche la scuola primaria: appunto una sorta di parcheggio (il termine non dev’essere considerato offensivo, corrisponde alla realtà), un sollievo per le famiglie impegnate nel lavoro. Senza l’opportunità di tenere i bambini fuori casa per un buon numero di ore, molti nuclei non saprebbero come organizzare il ménage quotidiano. È così dal 1971, quando per le elementari fu prevista per legge la possibilità di prolungare fino al pomeriggio le ore settimanali da trascorrere in classe. Era il cosiddetto tempio pieno, un peso "lavorativo" quasi corrispondente a quello di un adulto impegnato in ufficio. Ma accanto al tempo pieno la norma manteneva il diritto di scelta della tradizionale uscita all’ora di pranzo, chiamata "modulo", basata su 27 ore. Con il tempo pieno (le attuali 40 ore), niente compiti a casa ma lavoro "forzato" a scuola. Con il modulo, maggiore libertà ma con impegno di apprendimento a casa. Questo il doppio binario con il quale le famiglie alle prese con la prima iscrizione dei loro bambini si devono tuttora misurare. Nella crescente richiesta del tempo pieno, certo dipendente dall’accresciuto numero di famiglie con entrambi i genitori al lavoro, si distinguevano a Milano pochissime scuole ancora in grado di garantire la formazione di classi "modulari", con uscita poco dopo le 13. Tra queste, l’Istituto comprensivo Locatelli-Quasimodo di via Veglia in zona Niguarda, che ha sempre vantato come fiore all’occhiello questa sua peculiarità. Ma nei giorni scorsi, a iscrizioni avvenute, la doccia gelata: le famiglie che avevano richiesto l’orario tradizionale hanno ricevuto la telefonata che non t’aspetti, quella del preside, che si diceva desolato di non poter più formare una classe col modulo delle 27 ore. Un annuncio vissuto da quelle famiglie come lo "scippo" di un diritto, uno strappo operato in nome della "società del parcheggio". Di fronte alle proteste, il preside ha promesso di far di tutto per tentare la riconquista di quel fiore all’occhiello. Le mamme aspettano: provaci ancora, preside.

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