Dad, anche i ballerini in piazza per protestare: "Ci riprendiamo i nostri spazi"

Alcuni ballerini si sono allenati davanti alla Scala

Dad, la protesta dei ballerini

Dad, la protesta dei ballerini

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Una ragazza arriva in piazza della Scala, si sfila le sneakers e indossa le scarpette da punta mentre un compagno di classe del Centro studi coreografici del Carcano porta le sedie: si alleneranno lì, mentre uno studente del conservatorio sfila dalla custodia il sax e duetta con un pianista e gli studenti dell’Accademia di Brera danno forma a sculture seduti per terra, davanti al Piermarini. "Non è una performance, ci riprendiamo i nostri spazi", spiegano gli studenti e le studentesse delle accademie di Milano che - per la prima volta - scendono in piazza insieme, unendo le discipline, coordinandosi con la Rete della Conoscenza e il collettivo Calliope.

«La Dad è un modello che si è già rivelato precario per le scuole e le università, figuriamoci per centri di formazione artistica": Rafael Planells lo sta sperimentando in entrambe le direzioni. È al secondo anno di perfezionamento al Centro studi coreografici del Carcano, studia Filosofia alla Statale. E a Milano lo ha portato la danza. "Ma da un anno dobbiamo arrangiarci con strumenti nostri e pavimentazioni non adatte in stanze di 5 metri quadri, con la connessioni a singhiozzo e senza essere corretti dagli insegnanti, rinunciando a passi a due, a studiare il repertorio mentre il resto del mondo va avanti". Tanti compagni hanno appeso le scarpe al chiodo, si sono arresi.

"Noi non esistiamo per le istituzioni – scuote la testa – l’arte non è contemplata nei beni essenziali, ci si appella a lei solo quando fa comodo. Gli atleti possono allenarsi, noi siamo artisti ma dall’allenamento del corpo dipende il nostro futuro lavorativo e abbiamo perso più di un anno". In piazza c’è anche Teresa Kucich al secondo anno dell’indirizzo Decorazioni all’Accademia di Brera. "La maggior parte dei nostri corsi sono laboratoriali, con la zona rossa è tutto fermo – spiega – e tante materie che sono nostro pane quotidiano non sono fattibili a casa. Incisioni, per esempio. Chi ha un torchio in camera?". C’è un altro aspetto su cui far luce, oltre all’arte sacrificata citata sui cartelloni. "Il disagio psicologico dell’ultimo anno – sottolinea Teresa –, le prestazioni che ci vengono richieste con meno mezzi. Ci siamo trovati con studenti che condividono gli stessi problemi. È la prima volta". E non sarà l’ultima. Domani è la Giornata dedicata al Teatro. Gli studenti delle accademie e dei centri di alta formazione non lo dimenticano e torneranno a farsi sentire.

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