
Lo staff: secondo a destra il proprietario Pietro Paolo Tateo (NewPress)
Milano, 9 febbraio 2018 - L'uomo è ciò che mangia o ciò che immagina di mangiare? Di questi tempi, a Milano, capita spesso di non conoscere la risposta giusta. Non certo dalle parti del Naviglio Pavese, al civico 8 di quella strada apparentemente secondaria che presta il proprio nome a chi se lo merita e in questo caso all’Osteria Conchetta, locanda vecchia quanto basta per essere nella Storia della Milano golosa e giovane quanto serve per non apparire uno di quei luoghi aggrappati solo alla nostalgia. Comunque sia, è un ottimo accomodarsi in questa trattoria meneghina che otto anni fa il vulcanico Pietro Paolo Tateo, «Pier» per gli amici, aveva avuto la briga di rilevare, ambizioso e testardo come sanno essere i pugliesi quando lasciano la loro terra perché hanno qualcosa da dire e da dare e cercano il posto dove dimostrarlo. Lui ne era convinto quando a 20 anni o giù di lì sbarcò all’ombra della Madonnina, tosto come sanno esserlo i maschi della Bilancia, peraltro aiutato dalla possibilità di lavorare al «Le Trattoir» su invito dell’amico Fabio Mannarelli e dalla chance, successivamente, di crescere come ristoratore e imprenditore in Spagna e negli States. Fino alla decisione di investire soldi e passione nella bella osteria di via Conchetta. Prima con il bravo Maurizio Ghiringhelli, chef mitico che la pensione se l’è meritata con gli applausi. E adesso con Giuseppe Balducci, 24enne pugliese, per la precisione – e ci tiene a sottolinearlo – di Corato. Come dire: ti aspetti pranzi e cene che onorano il Mediterraneo. E arriva la sorpresa: buona cucina milanese, con tanti inchini alla tradizione ma anche l’intelligenza di innovare, senza però disorientare l’ospite con troppi azzardi.
Della serie: cotture a basse temperature e lente; carni che si prendono la vetrina, tra brasati, ossobuco, arrosti e bolliti; due chicche lombarde come i mondeghili e la cassoeula che in questa stagione non mancano mai; e i risotti, vere icone della casa, quello sì, perché il Carnaroli di Cascina Vione della vicina Basiglio è gran cosa e le idee di Pier bene interpretate da Giuseppe finiscono in versioni tutte da assaggiare: il risotto classico, con zafferano e burro Grana Padano di 24 mesi; quello bianco con vodka mantecato e presentato nella forma di formaggio con l’aggiunta di cipolle croccanti; e il risotto alla Pavese, con fagiolo borlotto e luganega, cotto con vino rosso d’Oltrepò, ovvero Bonarda. Il risultato: ottimo e senza nemmeno accanirsi sul conto finale, condito con la gentilezza del luogo, convivialità garbata delle vecchie osterie, pragmatismo di Claudia Colapinto che gestisce l’amministrazione. Pier lo ripete, sapendo che la gratitudine è un atto dovuto: la forza dell’osteria è la sua squadra. Vero. Lo sarà anche nel locale nuovo che ha deciso di aprire entro l’autunno proprio a fianco, sempre in via Conchetta, per una clientela che cerca forse più intimità e qualche frammento di ristorante gourmet. Ma sempre con la filosofia ben chiara: in cucina conta più la sottrazione dell’addizione, perché la riconoscibilità dei piatti è fondamentale ed è assurdo costringere i commensali a chiedersi cosa diavolo stiano assaggiando. Del resto, è cosa nota: i ristoranti non pensano. Hanno la saggezza delle persone che lo gestiscono.