ANDREA GIANNI
Cronaca

L’ultima vittoria degli operai Innse: licenziati per non aver superato un test, salvati dall’articolo 18

Milano, i lavoratori che nel 2009 parteciparono alla protesta sul carroponte della storica l’azienda di via Rubattino, lasciati a casa dal gruppo Camozzi: il Tribunale li reintegra

Gli operai nel 2009 salirono sulla piattaforma per salvare l’azienda in crisi

Gli operai nel 2009 salirono sulla piattaforma per salvare l’azienda in crisi

Milano – Uno di loro faceva parte del gruppo di operai della Innse che nell’estate del 2009 salirono sul carroponte, per salvare la storica azienda metalmeccanica in via Rubattino dalla chiusura. Gli altri due, invece, sostennero “da terra” la protesta dei colleghi asserragliati per nove giorni sulla piattaforma fino a quando il gruppo bresciano Camozzi acquisì l’azienda, uno dei pochi simboli rimasti del passato industriale di Milano, garantendo investimenti e impegno per rilanciare la produzione.

Sull’area ora sorge un polo tecnologico Camozzi, che nel luglio scorso ha ospitato anche l’assemblea di Assolombarda, con la premier Giorgia Meloni tra gli ospiti. E, quasi 15 anni dopo quella protesta, la battaglia delle tre tute blu Innse riassorbite nel 2009 da Camozzi è proseguita davanti al Tribunale di Milano, sezione Lavoro. "Sono stati trasferiti a Brescia per un anno di formazione – spiega Elena Dorin, segretaria generale della Fiom-Cgil di Milano – e infine licenziati lo scorso aprile per ‘giustificato motivo oggettivo’ che consiste, secondo l’azienda, nel non aver superato un test sul corso di formazione seguito".

Gli operai e il sindacato hanno presentato un ricorso contro il licenziamento, e il Tribunale di Milano gli ha dato ragione ordinando a Camozzi Advanced Manufactoring Spa di "reintegrare i ricorrenti nel posto di lavoro e al pagamento in loro favore dell’indennità risarcitoria" in base all’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori, con al centro quelle tutele in caso di licenziamento illegittimo modificate nel 2012 con la riforma Fornero e poi nel 2014 con il Jobs Act del Governo Renzi, ma ancora valide per i “vecchi" contratti.

Risarcimenti pari agli stipendi lordi non percepiti dal giorno del licenziamento oltre al "versamento dei contributi previdenziali e assistenziali" per lo stesso periodo e a spese legale che il giudice Julie Martini ha quantificato in novemila euro. "La sentenza che obbliga la Camozzi a reintegrare i lavoratori e a risarcirli fa riferimento all’articolo 18 – prosegue Dorin – quella legge che molti considerano un inutile orpello del passato ma che resta uno strumento indispensabile per difendere le lavoratrici e i lavoratori dai soprusi. Attualmente sull’area della Innse lavorano circa venti persone, tra operai della storica azienda riassorbiti da Camozzi e nuovi assunti: siamo ben lontano dai livelli occupazionali promessi all’epoca del salvataggio".

Gli altri operai che salirono sul carroponte sono andati in pensione nel corso degli anni, così come la maggior parte dei colleghi protagonisti di quella storica vertenza mediata dalla Prefettura. Prima c’è stata la cassa integrazione, e altri ricorsi in Tribunale. Oltre al nuovo polo hi-tech restano vestigia per appassionati di archeologia industriale, su un’area in zona Lambrate dove negli anni d’oro dell’industria italiana lavoravano migliaia di persone e dagli stabilimenti Innocenti venivano sfornate anche le Lambretta e le Mini.