Silvano Gallus: "Io, orgoglioso del mio Nobel stravagante"

Al ricercatore milanese il premio per la ricerca medica più strana: la pizza italiana è un salva vita

Silvano Gallus

Silvano Gallus

Milano, 14 settembre 2019 - Ci vuole scienza, ci vuol coraggio a vincere l’IgNobel. «E io mi sento nobilitato, non ‘ignobilitato’». Silvano Gallus, 48 anni, ricercatore a capo del laboratorio di epidemiologia degli stili di vita dell’Istituto Mario Negli di Milano, ci scherza su. A Boston ha alzato al cielo la statuetta del più irriverente riconoscimento alla scienza, indossando una maglietta con l’oggetto della sua ricerca stampato sul petto: la pizza. Tesi? «La pizza protegge da malattie e da morte», ma attenzione, «vale solo se è prodotta e consumata in Italia».

Gallus, ci sforni le prove. «Lo dicono i risultati dei nostri studi pubblicati nel 2003 e nel 2006 sulla pizza e sul rischio di patologie. Dal 1991 al 2002 abbiamo sottoposto dei questionari a persone malate di tumori e malattie cardiovascolari e a persone sane, e definito il consumatore regolare di pizza, ovvero chi la mangia una o più volte alla settimana. Siamo andati poi a confrontare il consumo fra i soggetti che avevano malattie e soggetti sani: 3mila soggetti con un tumore all’apparato digerente, 5mila con tumori in altre sedi, più di 500 soggetti che avevano avuto infarto miocardico acuto e circa 10mila soggetti sani».

Risultato? «Potevamo aspettarci una riduzione del rischio, perché la pizza è – o almeno era quando abbiamo condotto lo studio – un elemento relativamente leggero, e anche per alcuni ingredienti quali pomodoro e olio d’oliva. Ma mai risultati simili: i consumatori regolari di pizza, rispetto a chi non ne mangia, avevano un 34% in meno di rischio di tumore al cavo orale e alla faringe, il 59% in meno di tumore all’esofago, il 26% in meno al colon e il 34% in meno di infarto miocardico acuto. Non abbiamo invece trovato associazioni significative rispetto ad altri tumori della laringe, mammella, prostata o ovaie. La nostra interpretazione è che in Italia il consumo di pizza è un indicatore di dieta mediterranea. Non sappiamo se ripetendo lo studio in un Paese dove la pizza non è indicatore di dieta salutare, come a esempio negli Usa dove viene considerato cibo ‘spazzatura’, otterremmo gli stessi risultati».

Riproporrà lo studio negli Stati Uniti, ci ha preso gusto? «Chissà, magari dopo questo premio altri lo proporranno. Io adesso mi occupo di lotta al tabagismo e anche alle sigarette elettroniche e di ricerche sull’acufene, quel ronzio all’orecchio che rovina la qualità della vita di molte persone. Da anni ho smesso con la pizza».

Ma, facendo sorridere, ha dimostrato che anche con la pizza non si scherza. «È il bello dell’IgNobel. Dopo una cerimonia divertentissima, domani (oggi per chi legge, ndr) presenterò il mio studio al Mit. Mi chiedono spesso se non mi sono sentito offeso per l’IgNobel. Io mi sento onorato, approvo e apprezzo il senso di avvicinare l’opinione pubblica alla scienza e al dibattito scientifico. Sono contento di poter contribuire a questo spettacolo. E non sono solo io il vincitore di questo premio, gli studi hanno co-autori come Carlo La Vecchia dell’Università di Milano e Cristina Bosetti, mia collega all’Istituto Mario Negri. All’epoca ci sembrava assurdo che ci fossero così poche informazioni riguardo all’assunzione di un alimento come la pizza, il nostro piatto forte».

Dica la verità, anche lei è un consumatore seriale di pizza? «Confesso che c’è stato un piccolo conflitto di interessi, ne mangio almeno una o due alla settimana, alta o bassa, margherita o con la bufala, ogni tanto sgarro: sono un ‘regular consumer’, ho fatto i compiti a casa. Anche a Milano adesso ci sono pizzerie eccezionali. Ma lo giuro, non mi hanno mai offerto una pizza».

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