Milano, dal punk alla trap: ecco come cambiano le tribù giovanili

L’esperto: "Così i ragazzi si identificano nel gruppo"

Spesso le subculture giovanili si oppongono alle tedenze dominanti

Spesso le subculture giovanili si oppongono alle tedenze dominanti

Milano, 13 marzo 2019 - Simone Tosoni, 47 anni e professore associato di Sociologia dei processi culturali e comunicativi alla Cattolica di Milano, è uno dei pochi ad occupasi, dentro un ateneo, di subculture giovanili. «Il prefisso sub non ha connotazione negativa ma indica un approccio culturale specifico che distingue un gruppo da altri» precisa il professor Tosoni. Con la giornalista Emanuela Zuccalà nel 2013 ha pubblicato, per i tipi di Agenzia X, “Creature simili. Il dark a Milano negli anni Ottanta”. Un libro seminale in Italia perché se in Inghilterra i cultural studies su punk e rave proseguono ininterrotti da decenni, in Italia siamo fermi per gli studi sulle subculture agli anni Settanta. Il vuoto accademico scatta con il periodo del riflusso degli anni ’80 quando «le forme di appartenenza giovanili vennero concepite negativamente come forme di chiusura nell’individuale». Per Tosoni «non è vero che non siano sociologicamente interessanti. Fioriscono o tante forme di identità collettive permeate da un forte investimento identitario».

In quelle subculture c’è un legame forte con la musica ma è ancora più fondamentale «la visibilità nello spazio urbano pubblico». Milano anni ’80. Il centro si presentava lottizzato da almeno cinque «tribù» giovanili. Oltre a rockabilly, metallari e skin, le due principali sono il punk nelle sue varie diramazioni (incluso il dark per Tosoni) e i paninari. I punk propugnano «valori opposti all’individualismo, al consumismo, al successo». E lo denunciano subito con un abbigliamento che per i punk è a base di pantaloni stracciati, pelle, borchie e una pettinatura da mohicano (la famosa cresta) mentre per i dark coincide con l’uotfit nero. «Il messaggio è di shock, la volontà è quella di rimarcare immediatamente di non fare parte di una cultura allineata». Seguire una grammatica vestimentaria è decisivo anche per i paninari, dai valori opposti ai punk «all’insegna della celebrazione». S’incontrano in San Babila e sono riconoscibilissimi per giubbotti imbottiti, scarponi, jeans. «Nel loro outfit tutto doveva essere di marca. Il sociologo Thorstein Veblen parlerebbe di costume vistoso, dimostrare attraverso quello che indosso la capacità di acquisto». Musicalmente fanno riferimento a un collage di successi, dai Duran Duran a Vasco Rossi.

A partire  dagli anni ’90 si verificano cambiamenti che perdurano: «Non è più così importante occupare la strada. Le subculture da urbane diventano da tempo libero, viaggiano nei club e nei locali». Il vero paradosso è che «non sono più solo giovanili perché reclutano nuovi membri lasciando dentro gli “storici”». I dark o i metallari oggi vanno dai 15 ai 60 anni. Il modello è liquido: «Presuppongono coinvolgimenti in pratiche subculturali temporanee. Appartenenti a mondi diversi si trovano in un locale, per una serata, e poi si dividono». Le nuove tribù? Ci sono gli hipster animati da citazionismo post moderno e forte appartenenza ai quartieri come l’Isola. O la famosissima trap. Dopo la tragedia di Corinaldo si accompagna a un forte allarme morale. Non è niente di nuovo sotto i cieli della sociologia: «Non ho studiato a fondo la trap ma il panico morale è una costante ad ogni nuova andata giovanile e musicale», assicura Tosoni.

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