
Luca Sinigaglia l’alpinista melzese morto sul Pik Pobeda in Kirghizistan nel tentativo di soccorrere una compagna di spedizione
"Perdere un figlio e un fratello di cinquant’anni è intollerabile, tragico. L’unico conforto, la consapevolezza del suo atto generoso. Non ci ha sorpreso. Lui era questo: non avrebbe mai lasciato indietro nessuno". È un’ondata commossa di affetto e solidarietà quella che in queste ore travolge il padre, i fratelli e i familiari di Luca Sinigaglia, l’alpinista melzese morto sul Pik Pobeda in Kirghizistan, nel tentativo di soccorrere una compagna di spedizione rimasta bloccata ad alta quota con una gamba fratturata.
Luca Sinigaglia era nato e viveva a Melzo, lavorava in un’azienda come esperto di cybersicurity. L’Axitea la sua seconda famiglia, le vette la sua grande passione. Nella casa di famiglia di via Bologna, dove l’alpinista abitava accanto al padre e ai fratelli, Fabio e Patrizia, è la sorella a ricordare i giorni e le ore del dramma. "Eravamo in contatto. Luca aveva un Garmin collegato a satellitare e la radio per comunicare con il campo base". La tragedia a ridosso di Ferragosto. Luca e uno dei tre compagni di spedizione in discesa, a quota 7.000 metri. E qui, senza indugio, la decisione di risalire in soccorso dell’amica, la 47enne russa Natalia Nagovitsyna. "Hanno preso fornello e bombola, tenda, cibo e via. Ho il suo messaggio: “Torno da Natalia. Si è fatta male“. A 7.200 metri la notte in tre in tenda e l’ultimo messaggio: “Stanotte restiamo qui: tvb“". Poi gli eventi, a precipizio. Il tentativo di tornare, le condizioni meteo, il vento ancora forte. Il 14 agosto la discesa sino a 6.900, e i segnali dell’edema cerebrale probabile causa della morte. La notizia del decesso comunicata alla famiglia a Ferragosto. Il corpo ancora in attesa di recupero: "Ambasciate e consolati ci stanno aiutando. E’ tutto molto difficoltoso".
Luca, alpinista "esperto e attento. Studiava, si preparava all’estenuazione". Gli amici, i compagni di scalate raccontano che era tecnico, prudente. Sapeva gestire il rischio. “Sentiva“ le cime. "Stavolta la sua priorità è stata un’altra: voleva salvare l’amica".
L’alpinista era partito da Melzo il 18 luglio. Pochi giorni dopo aveva scalato da solo il Pik Lenin, la seconda cima del del Kirghizistan dopo il Pik Pobeda, "una sorta di allenamento. Altri 7.000 metri, fatti in 5 giorni contro i 20 normalmente previsti. Era felice, orgoglioso". Ogni estate vette e mondo: "E ovunque amici. Era innamorato di luoghi e persone". Aveva un obiettivo Luca: il premio sovietico "Leopardo delle nevi", tributato dopo la scalata dei cinque picchi di 7000 metri e oltre dell’ex Unione Sovietica. Luca, orgoglio di Melzo. Dalla famiglia, ieri, anche il sindaco Antonio Fusè: "Non conoscevo personalmente Luca, ma sono orgoglioso di lui come tutta la città. E vicino con il cuore ai familiari, che vivono questo dolore con ammirevole dignità".