La chiamata al 112, poi a uno dei figli "Ho ucciso mia moglie a coltellate"

Barona, il cinquantanovenne marocchino Bouchaib Sidky si è consegnato a una pattuglia di carabinieri. Le continue discussioni e l’escalation negli ultimi mesi. "È stato uno scatto di rabbia, non ci ho visto più"

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di Nicola Palma

Ore 12.30 di ieri, viale Liguria. C’è un uomo che sembra vagare senza meta: berretto nero, giubbotto scuro e un paio di jeans. Ferma una pattuglia dei carabinieri di passaggio e ripete a loro quello che ha già detto al 112 e al figlio maggiore: "Ho ammazzato mia moglie". I militari del Radiomobile gli chiedono l’indirizzo di casa per verificare quanto appena confessato: lui li porta in via Lope de Vega 1, alterna crisi di pianto a momenti di estrema agitazione. In casa ci sono già gli agenti delle Volanti (in quelle ore è di loro competenza la zona della città che comprende l’area della Barona), che sono stati allertati dai colleghi della centrale operativa della Questura, e il primogenito ventiquattrenne della coppia, che lavora non lontano dallo stabile a due passi da viale Famagosta e che si è fatto accompagnare da un amico.

Purtroppo è tutto vero: in camera da letto giace il cadavere della cinquantunenne marocchina Waafa Chrakoua, assassinata con almeno dieci fendenti sferrati con un coltello da cucina ritrovato all’interno dell’appartamento al quarto piano. A ucciderla è stata il marito connazionale Bouchaib Sidky, cinquantanovenne da tempo in Italia: le ferite alle braccia testimoniano che la donna, che lavorava per un’impresa di pulizie, avrebbe cercato invano di difendersi dalla furia omicida, a segno più volte al busto e all’addome. Il killer viene portato in caserma e poi consegnato agli investigatori della Squadra mobile, guidati dal dirigente Marco Calì e dal funzionario Domenico Balsamo, cui viene affidata l’indagine coordinata dal pm di turno Sara Arduini. "È stato uno scatto di rabbia, non ci ho visto più", avrebbe detto Sidky, arrestato con l’accusa di omicidio volontario aggravato. Gli archivi delle forze dell’ordine rimandano tre interventi per liti verbali negli ultimi anni: uno nel 2015, a valle del quale la donna non aveva denunciato il marito, e due tra marzo e luglio nel 2021 (nel secondo caso era stata medicata nel vicino ospedale San Paolo), ma pure in quelle occasioni non aveva formalmente accusato il coniuge. I vicini parlano di discussioni molto frequenti, praticamente quotidiane di recente: "Lui era un orco, aveva un atteggiamento violento e aggressivo sia con lei che con i figli", lo descrivono, augurandosi che possa trascorrere il resto della vita dietro le sbarre. Solo parole di stima e affetto per Wafaa: "Era una bravissima persona – la descrive commossa Virginia Testoni, tra gli inquilini più attivi dello stabile popolare –. Pensava solo a lavorare e a prendersi cura dei suoi quattro ragazzi". Il più grande lavorava già, mentre i fratelli di 13 e 17 anni andavano a scuola (e per fortuna ieri non erano in casa quando il padre ha assassinato la madre); la quarta sorella è stata raggiunta dalla drammatica notizia in Francia, dove si era trasferita.

Il cinquantanovenne era disoccupato, ma pare non collaborasse in alcun modo alla gestione della casa. E, stando a quanto risulta, era proprio questo uno dei motivi scatenanti degli alterchi nella coppia. Ieri, come ogni giorno, Wafaa è tornata all’ora di pranzo dopo una mattinata di lavoro e ha trovato Sidky lì. Alcuni residenti hanno sentito urlare, poi più nulla. Il nordafricano ha afferrato un coltello da cucina, ha raggiunto la moglie in camera da letto e ha iniziato a colpire, nonostante i tentativi della donna di parare in qualche modo i fendenti. Poi è uscito di casa e ha telefonato per autodenunciarsi, prima di vagare per poco più di un chilometro e imbattersi nella macchina dei carabinieri. Sotto i jeans aveva una tuta sporca di sangue: se li è infilati con ogni probabilità prima di scendere in strada per coprire le tracce di quello che aveva appena fatto.

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