Milano, pronto a compiere un attentato al centro commerciale: condanna definitiva

Le motivazioni dei quattro anni per Benchorfi: le foto di Arese e i soldi ai combattenti

L’affollatissimo centro commerciale di Arese

L’affollatissimo centro commerciale di Arese

Arese (MIlano), 24 luglio 2019 - Foto di leader terroristici, esecuzioni e accampamenti di combattenti ritrovate sul cellulare. Seimila euro inviati a persone pronte a partire per la Siria, tramite l’amico Messlama. E soprattutto quelle immagini del centro commerciale di Arese, messe in relazione dagli investigatori «con la frase nella quale aveva parlato di un programma, per la cui attuazione era necessaria un po’ di esperienza in vista della buona ricompensa di Dio, e considerata significativa della volontà di organizzare un attentato ai danni della struttura». Tutti elementi sufficienti, secondo i giudici della Cassazione, per confermare la condanna di Nadir Benchorfi a 4 anni di reclusione per «partecipazione all’organizzazione terroristica sovranazionale denominata Stato Islamico». Il 33enne marocchino era stato fermato nel dicembre 2016 dagli agenti della Digos in un appartamento di via Tracia, a San Siro. 

«Aveva dato la sua disponibilità a compiere attentati, ma non ci sono riscontri su una sua reale e imminente capacità di esecuzione», aveva detto all’epoca l’allora questore di Milano Antonio De Iesu. «Le indagini sono partite nel settembre scorso dopo una segnalazione ricevuta da una fonte confidenziale – aveva spiegato il dirigente della Digos Claudio Ciccimarra –. Le attività di intercettazione e monitoraggio dei flussi economici ci hanno permesso di avere molte conferme. Il sospettato riceveva le indicazioni per l’invio di soldi a combattenti, per lo più foreign fighters, attraverso money transfer. Versamenti da 50 a 600 euro per volta e in diversi Paesi africani e mediorientali. In totale ci risultano 6mila euro di rimesse». In Corte d’Assise, erano cadute le accuse legate alle frequentazioni di Benchorfi con due cugini sospettati di legami col terrorismo ai tempi in cui viveva in Germania; per il resto, invece, i giudici avevano condiviso le ipotesi accusatorie, pur condannando il marocchino a 4 anni rispetto agli 8 chiesti dal pm Enrico Pavone e concendogli le attenuanti generiche. Tutto confermato in Appello nel luglio 2018. Ora è arrivato il verdetto della Suprema Corte, che ha ritenuto inammissibile il ricorso presentato dai legali di Benchorfi e basato sulla presunta «assenza di prova circa l’esistenza di un contatto operativo reale» tra il 33enne e «l’associazione terroristica».

Per gli ermellini, infatti, le motivazioni della Corte d’Assise d’Appello si sono mantenute nei limiti dei principi elaborati dalla Cassazione «in tema di partecipazione ad associazione terroristica». A cominciare dalla valorizzazione dei contributi economici che Benchorfi fornì, stando alle indaini, «a persone che dovevano organizzare la trasferta in Siria per unirsi ai combattenti, il cui collegamento con l’organizzazione terroristica è stato considerato certo in quanto le indicazioni in tal senso utili provenivano da Messlama, soggetto che ha credibilmente rivendicato la sua appartenenza all’Isis». Senza dimenticare quelle foto del centro commerciale di Arese e le conversazioni finalizzate all’organizzazione del viaggio in Siria, con le richieste di informazioni su itinerari sicuri da «turista», mezzi di trasporto «dove non ci sono tanti controlli» e possibili sistemazioni.

è arrivato su WhatsApp

Per ricevere le notizie selezionate dalla redazione in modo semplice e sicuro