Passò col rosso, motociclista morto: pedone va a processo per omicidio

Per evitare la ragazza sulle strisce, il centauro Vanni Camassa sbandò e scivolò sui binari del tram. Assolta in primo e secondo grado, la Cassazione ha disposto un nuovo giudizio per la ventisettenne

L'articolo de Il Giorno

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Milano - Quella sera , uscì di casa senza documenti per andare a prendere le sigarette sotto casa, tanto che all’inizio i ghisa consultarono l’elenco delle persone scomparse per associare un nome a quella ragazza investita da una moto. Solo il giorno dopo si scoprì che si trattava di una studentessa di Giurisprudenza che abitava lì vicino. G.V., all’epoca ventitreenne, attraversò col rosso le strisce pedonali all’incrocio tra viale Umbria e corso XXII Marzo proprio nel momento in cui stava arrivando da viale Piceno la Honda guidata dal trentaseienne Vanni Camassa. L’incidente, avvenuto trentacinque minuti dopo la mezzanotte del 16 maggio 2016, si rivelò purtroppo fatale per il centauro, che dopo l’impatto con G.V. perse il controllo della moto e cadde a terra, senza più rialzarsi; l’universitaria, invece, finì sotto i ferri al San Raffaele per una delicata operazione alla testa.

A più di cinque anni da quella giornata maledetta, si scopre che G.V. è finita a processo per omicidio colposo stradale, accusata di aver "cagionato il decesso del Camassa" violando l’articolo 146 del Codice della Strada (che si occupa di segnaletica stradale) "nonché per negligenza, imprudenza e imperizia". Sia in primo che in secondo grado, è arrivata l’assoluzione, ma nei giorni scorsi la Cassazione ha annullato la sentenza emessa dalla Corte d’Appello di Milano il 5 novembre 2020 e disposto il rinvio a nuovo giudizio con un’altra sezione. Il motivo? Per gli ermellini, non è stata presa in considerazione l’intera dinamica dell’incidente, bensì solo la seconda fase. In particolare, la Corte d’Appello ha ritenuto "che il motociclo non avesse perso l’assetto regolare a causa dell’impatto con il corpo della donna, ma per lo scivolamento sulla rotaia del tram, avvenuto a circa dieci metri dal punto dell’investimento"; pertanto, ha escluso "che potesse essere affermata con certezza l’esistenza della relazione causale tra il comportamento di G.V. e l’evento luttuoso". Una tesi avversata sia dal procuratore generale presso la Corte d’Appello di Milano sia dai legali dei familiari di Camassa, che hanno sottolineato che i giudici di secondo grado non avrebbero tenuto conto del fatto che il motociclista ha attuato "una manovra di emergenza" per evitare l’investimento, consistita in una svolta repentina a sinistra e in una successiva frenata.

Una manovra , hanno aggiunto, resa necessaria dalla "condotta colposa dell’imputata", in assenza della quale il centauro "non avrebbe dovuto né svoltare a sinistra né frenare". Quindi, "la caduta del motociclista non costituisce uno sviluppo anomalo, eccezionale e imprevedibile della condotta colposa del pedone, ma anzi la condotta del Camassa antecedente, concomitante e successiva all’impatto con la donna è concretizzazione dei rischi introdotti dalla condotta colposa di G.V., come dimostrano le manovre emergenziali poste in essere dal motociclista, il fatto che l’impatto con il pedone certamente influì sulla lucidità e capacità di governo del motociclo, la brevissima distanza tra punto di collisione e punto di slittamento sulle rotaie". Per la Cassazione, i giudici di merito hanno "del tutto arbitrariamente" preso in considerazione "solo il segmento successivo all’impatto e non anche l’intera condotta del motociclista indotta dal pedone, quindi anche la scelta di una traiettoria" che ha portato la Honda sulla rotaia. Il processo va rifatto.

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