Milano – Gli investigatori dei carabinieri sono sulle tracce dell’uomo che avrebbe intimato ai genitori del titolare dello showroom di via Cantoni 3 di consegnare 20mila euro. Il quarantanovenne L.Y. ha infatti messo a verbale di essere stato avvicinato sotto casa a Chinatown, nella notte tra mercoledì e giovedì, da una persona che gli avrebbe puntato un coltello e gli avrebbe chiesto quella precisa somma. Lo stesso sarebbe accaduto la mattina seguente alla moglie, a due passi dall’emporio in zona stazione Certosa.
Nelle denuncia si parla di un nordafricano, forse marocchino, che i tre dicono di non conoscere, ora gli investigatori stanno cercando di capire meglio i contorni di questa denuncia. La comunità cinese è storicamente molto chiusa e gli affari vengono gestiti all’interno del gruppo. Come facevano i tre minacciati a conoscere il nordafricano? Che legami potevano avere? Perché stando a quanto ha dichiarato L.Y. l’aggressore li ha attesi sotto casa, quindi era in grado di conoscere i loro spostamenti.
È questo uno dei nodi cruciali su cui si fonda l’indagine. L’elemento singolare è che il misterioso uomo avrebbe utilizzato Google translate, un traduttore simultaneo del cellulare, per rivolgersi alle vittime della presunta estorsione in lingua cinese, che però parlavano bene italiano, essendosi trasferiti qui da una ventina d’anni e quindi sarebbe bastata la minaccia verbale pronunciata in italiano.
Allora il marocchino è una persona che ha agito su commissione? E da parte di chi? L’analisi dei cellulari, i messaggi scambiati, le telecamere e conti potranno forse chiarire di più, ma serve tempo. La pista seguita ad oggi dagli investigatori resta quella di un recupero credito o di soldi pretesi per qualche affare che la famiglia aveva in ballo. Con chi?
Si esclude che si sia trattato di “pizzo”, perché tra la minaccia e l’incendio, stando a quanto dicono gli investigatori sarebbe passato troppo poco tempo. E anche l’incendio pare essere stato studiato nei dettagli da chi conosceva bene anche la struttura del magazzino. Secondo i primi risultati del sopralluogo dei vigili del fuoco si tratterebbe di un incendio ad innesco rallentato. L’ipotesi cioè è che chi ha dato fuoco al magazzino lo abbia fatto utilizzando un sistema ad accensione lenta. Gli esami tecnici hanno escluso, cioè, l’uso di benzina o altri acceleranti. E fra l’altro sarà importante capire come è stato innescato e come sono divampate le fiamme. Il vetro rotto della finestra è dovuto a una manovra per agevolare le fiamme? Anche su questo punto manca la relazione finale dei vigili del fuoco che la depositeranno non prima di qualche settimana.
Ad oggi la cosa balzata all’occhio dei vigili è che all’interno del magazzino mancava una uscita di sicurezza e c’erano vari abusi che hanno aiutato le fiamme a trasformare il magazzino in una prigione.
Gli investigatori escludono che chi ha appiccato fuoco sapesse che all’interno del magazzino dormissero i tre giovani: i fratelli di 17 e 18 anni Liu Yinjie e Dong Yindan e il designer ventiquattrenne Pan An. Anche l’autopsia potrà aiutare gli investigatori a chiarire il momento esatto della morte, e di conseguenza quello in cui è stato appiccato il fuoco.