Il mistero del drago del Duomo "Il vescovo lo donò al costruttore Io l’ho comprato per 22mila euro"

La difesa di Ciaroni, da salvatore dell’arte a indagato: "Nessuna furbata, pronto a restituirlo". In Olanda la scoperta: è emerso il secondo strato, in marmo di Candoglia bianco e rosa

di Maurizio Gennari

Dalle stelle alle stalle si potrebbe dire per l’antiquario Giancarlo Ciaroni, pesarese, l’uomo accusato dalla Procura di Milano di esportazione illegale di opere d’arte. Nel caso specifico una "gargolla", i draghi alati delle guglie del duomo di Milano: un oggetto che pesa 365 chili. Dalle stelle alle stalle perché Ciaroni ha ricevuto il premio Rotondi per i salvatori dell’arte – il ritrovamento del fanciullo del Barocci rubato dal Duomo di Urbino – e quindi anche una lettera di encomio dal ministero dei Beni culturali per il ritrovamento di altri affreschi. In questo momento sta collaborando con la Procura di Pesaro e i carabinieri per il recupero di alcune statue romane esportate illegalmente. "La storia ha contorni che non comprendo – ha confessato agli amici Ciaroni –, perché questi frammenti arrivano dalla villa della famiglia Torno di Bergamo, titolare di un’impresa edile, ed erano una donazione del vescovo di Milano". "Una statua presa da quella villa e ceduta a un antiquario di Brescia, dove l’ho comprata per 22mila euro", ha raccontato Ciaroni agli amici più intimi, perché la storia va avanti da ormai un anno e il sequestro è di un mese fa, eseguito dai carabinieri del nucleo per la tutela del patrimonio di Ancona su ordine della Procura di Milano.

Ciaroni commenta: "Nessun problema, ho detto io alle autorità dov’era la ‘gargolla’, la tenevo in un deposito che ho alla periferia della città. Così come ho fatto rientrare io la statua in Italia dall’Olanda quando, dopo averla fatta pulire da un esperto, è emerso sotto il secondo strato che non si trattava di una pietra, ma di marmo di Candoglia, bianco e rosa, tipico del Duomo di Milano. Così il direttore del mio negozio di Milano, che ha fatto la tesi di laurea proprio sul Duomo, è andato alla Veneranda Fabbrica per avvisare del ritrovamento. Dunque è stato possibile fare tutto il percorso a ritroso fino alla donazione del vescovo fatta alla fine della guerra".

Quanto alla modalità di esportazione del bene – tra l’altro la pietra è tenuta assieme da alcune bare di ferro – Ciaroni risponde: "Nessuna furbata da parte mia, siamo passati da Verona perché su Milano non c’erano spazi liberi. Comunque il bene prima di avere l’ok all’esportazione non solo è passato al vaglio degli esperti di Verona, ma anche di quelli di Milano, soprintendenza compresa, che hanno dato l’ok. Una expertise fra l’altro durata otto mesi. E già nelle deposizioni fatte, tutti hanno dichiarato che nello stato in cui era, era impossibile capire la provenienza e tantomeno collegarlo al Duomo di Milano". La materia del contendere? La proprietà del drago alato in questione di chi è? Su questo punto Ciaroni ha confessato: "Se si stabilisce che la titolarità spetta alla Veneranda Fabbrica del Duomo, non ho nessun problema a restituirlo. Altrimenti lo tengo io, come sono ancora nella villa di Bergamo i ‘calcinacci’ che il vescovo di Milano ha regalato al costruttore Torno". Tra le curiosità di questo oggetto, che si pensava inizialmente provenisse dall’Europa del Nord, il fatto che durante il restauro è emerso, scolpito, il giglio di Francia. Ma sulla datazione non c’è certezza: per alcuni risale al 1406, per altri invece al Seicento.

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