DIEGO VINCENTI
Cronaca

I corpi di Elizabeth all’Elfo: "Fu una regina saggia e amata. Forte, ma aveva paura del buio"

Elena Russo Arman e la nuova produzione diretta da Cristina Crippa ed Elio De Capitani "Personaggio gigantesco, scissa fra la politica e la dimensione più intima e fragile".

I corpi di Elizabeth all’Elfo: "Fu una regina saggia e amata. Forte, ma aveva paura del buio"

I corpi di Elizabeth all’Elfo: "Fu una regina saggia e amata. Forte, ma aveva paura del buio"

Quarantaquattro anni di potere. Nubile, senza discendenza. In bilico fra la fermezza glaciale del profilo pubblico e l’intima sensualità di una donna passionale, che aveva scelto di escludere le conseguenze dell’amore. E delle proprie fragilità. Almeno da come la racconta Ella Hickson in "I corpi di Elizabeth", nuova produzione dell’Elfo, da mercoledì all’11 febbraio in corso Buenos Aires. Una prima nazionale. Diretta da Cristina Crippa ed Elio De Capitani. Che nasce da un’idea di Elena Russo Arman, anche in scena insieme a Maria Caggianelli Villani, Enzo Curcurù e Cristian Gianmarini. Elena, cosa l’ha incuriosita del testo?

"Elisabetta è un personaggio gigantesco, una tentazione imperdibile che ci ha regalato la traduttrice Monica Capuani, sempre generosa nel condividere le novità in lingua inglese. È un dramma storico caratterizzato da uno sguardo contemporaneo. Con una scrittura molto british, sintetica, dove i dialoghi scarni nascondono al loro interno un senso più ampio, a partire dal titolo".

Avete fatto una scelta non filologica.

"Perché l’originale “Swive“ non ha corrispettivo in italiano ed è greve, volgare. Rimanda all’atto sessuale ma anche al corpo maschile che crea un disequilibrio in quello femminile, nella più classica dinamica di potere fra uomo e donna. Quando ci siamo imbattuti nel saggio “I corpi di Elizabeth“ di Clara Mucci, abbiamo pensato che fosse un titolo perfetto, con l’approvazione dell’autrice".

Perché si parla di corpi?

"La regina è scissa in due figure distinte: una più politica e di rappresentanza, l’altra legata alla sfera sessuale femminile e alle fragilità. Ma c’è anche una scissione fra l’Elizabeth ragazza e la regina. La prima è interpretata da Maria Caggianelli Villani e racconta di una giovane donna che si confronta con altri modelli per poi emanciparsi, come la matrigna o Mary Tudor. Io sono invece l’Elizabeth più matura, che guida e osserva, impegnata nella costruzione della sua carriera nascondendo fragilità e paure".

Che timori aveva?

"Il buio. Una paura che l’accompagnò tutta la vita, da quando bambina fu chiusa in una stanza mentre fuori decapitavano la madre, Anna Bolena".

Anche oggi viene spesso chiesto di accantonare fragilità e sentimenti.

"È così. Il richiamo con il presente è molto evidente. Lei arriva a sacrificare l’amore, teme di “Evaporare per dissolversi nel torrente che sei tu“, scrive a Robert Dudley, suo amante".

Che regina fu?

"Saggia, di successo, amata dal popolo. Una donna di charme e di cultura. Capace di resistere a qualsiasi pressione di fronte alla scelta di non sposarsi, di non avere una discendenza. E in questo fu davvero unica".

Come si inserisce nel suo teatro?

"Da tempo mi interessa lo sguardo delle donne sul mondo, spesso nel confronto con figure legate al passato. Cerco tracce con cui ricostruire parti omesse della Storia. Quei frammenti cancellati dagli uomini".