Giustizia, addio a Milano. Fuga verso Sud

Stipendi bassi e costo della vita alto: boom di richieste di trasferimento fra il personale amministrativo. "I concorsi non bastano"

Sindacalisti e dipendenti si sono radunati in presidio davanti al Palazzo di giustizia

Sindacalisti e dipendenti si sono radunati in presidio davanti al Palazzo di giustizia

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Milano, 14 ottobre 2021 - Per vivere a Milano uno stipendio di 1300 euro al mese "non è sufficiente, soprattutto se una persona vuole creare una famiglia". Per questo Alberto, dipendente dell’amministrazione penitenziaria che si occupa di gestire conti e spese, ha chiesto il trasferimento verso Sud dopo quasi quattro anni di lavoro a Milano. "Vorrei raggiungere la mia fidanzata – racconta l’impiegato 33enne – e vivere in un posto dove i costi sono più sostenibili. Con lo stesso stipendio che prendo a Milano, in altre città potrei condurre una vita più che dignitosa". Un ragionamento che hanno fatto tanti suoi colleghi che, freschi di concorso, puntano a lasciare Milano il prima possibile, sfruttando anche la presenza di figli sotto i tre anni di età nel nucleo familiare e la legge 104, per l’assistenza degli anziani genitori rimasti nella regione d’origine.

"Si tratta di un fenomeno particolarmente spiccato fra il personale amministrativo degli uffici giudiziari – spiega Giorgio Dimauro, segretario generale della Cisl-Fp di Milano – dove gli stipendi sono più bassi rispetto ad altri uffici pubblici. Per questo gli stipendi andrebbero adeguati anche al costo della vita della zona dove si lavora, per evitare questa fuga di risorse da Milano". Un addio alla città che condivide con Roma le opportunità di carriera nel pubblico impiego ma anche prezzi, dalla casa ai servizi indispensabili, a livelli sempre più alti. Quello degli stipendi è uno dei temi sollevati nel corso della giornata di mobilitazione proclamata da Fp Cgil, Cisl Fp e Uil Pa sfociata ieri in un’assemblea con circa 200 dipendenti radunati nell’aula magna di Palazzo di giustizia e un presidio davanti all’ingresso principale. Uffici che soffrono di una cronica carenza di organico, anche per effetto dei pensionamenti, che i concorsi non riescono a colmare.

La Procura generale ha una scopertura, emerge dai dati forniti dall’Ufficio del personale, "pari al 24,29% , ed ha in organico totale 53 unità effettive (dirigente incluso) su 70 unità teoriche previste da bollettino ufficiale. Gli applicati sono tre: due conducenti di automezzi applicati dalla Procura di Milano e un ausiliario applicato dalla Procura di Trieste. Situazione analoga negli altri uffici. Secondo gli ultimi dati nelle mani dei sindacati, nel Tribunale di Milano dovrebbero esserci 735 dipendenti amministrativi in organico, ma in realtà quelli in servizio sono solo 548. Situazione peggiore nella Corte d’Appello, con 150 “amministrativi“ su 242 previsti: 92 posti vacanti, un tasso di scopertura del 38%. Numeri sul tavolo in uffici che, dopo l’emergenza coronavirus, stanno tornando progressivamente alla normalità del lavoro in presenza, con il nodo dell’obbligo di green pass.

I sindacati puntano il dito contro il ministero della Giustizia che "non rispetta gli accordi firmati e continua sistematicamente a umiliare i lavoratori in termini di mancata progressione economica e giuridica, assoluto immobilismo in ordine ai trasferimenti e non corresponsione degli emolumenti accessori previsti risalenti addirittura al 2019". Lo stato di agitazione continuerà "fino a quando l’amministrazione non darà tutte le doverose risposte alle questioni aperte". Mimmo Silipigni (UilPa Giustizia), sottolinea che "la protesta arriverà, se necessario, a proclamare lo sciopero del servizio giustizia".  

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