“Freddo blu” e la poesia di una bimba

Andrea

Maietti

Quater pass cuntra la pecundria. Lodi, via Gabba. Una coppia di amici cinquantenni con figlio adolescente. Parliamo dell’eterno conflitto generazionale. I figli di oggi:

chi li capisce più? Tra padri e figli il dialogo è sempre stato difficile, anche in passato,

quando il dialogo non c’era proprio. "Alla fine – dico – bisogna affidarsi". Vorrei

aggiungere “a Lui”, ma non sapendo come la pensano in proposito, mi limito a

guardare timidamente in alto. I due, all’unisono, alzano platealmente le braccia:

"Quel sì, ma tant però!", esclama lui, con tanto trasporto da echeggiare in tutta la via.

Giro poi in Corso Vittorio Emanuele. Incrocio una giovane coppia con una

carrozzina, dove sgambetta una bambina di tre-quattro anni. Si chiama Valentina.

"Che freddo, vero Valentina?", dice il padre. E lei, da sotto la sciarpina: "Freddo

blu!". Freddo cane, freddo boja, freddo barbino, freddo ladro etc. Ma ‘freddo blu’

non l’avevo mai sentito. Vedi dove, come, da chi può zampillare una favilla di poesia.

Dopo simili endovene anti-pessimismo per i giorni grami che tutti stiamo vivendo,

potrei tornare a casa, ringraziando (Lui o il caso, fate voi). Se non fosse il pensiero

che torna di una chiacchierata di un paio d’ore prima con la figlia, pure cinquantenne. Avevamo condiviso un caffè, come puntualmente succede in certe giornate in cui una madre ancor giovane sente di dover confidare qualche magone al

padre ormai vecchio. Chissà come sta adesso la figlia? Bippa il cellulare. Un suo

messaggio: "Grazie per stamattina. L’è semper düra, ma certe boccate d’ossigeno

servono a tirare avanti".

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