REDAZIONE MILANO

Falsi autonomi e cassa forzata, la giungla dei call center

Carmen, licenziata dopo 2 anni di contratti: "Battaglia in Tribunale, ora faccio la commessa"

"Lavoravo in ufficio dal lunedì al venerdì dalle 9 alle 18, con una postazione fissa, un codice personale e il totale controllo degli orari: il mio era lavoro autonomo solo sulla carta". Carmen Maisano ha deciso di dare battaglia in Tribunale contro la società che nel febbraio 2015 l’aveva reclutata per vendere al telefono riviste dedicate al circuito dei parrucchieri e il 10 luglio 2018 l’ha lasciata a casa facendo scadere l’ennesimo contratto di collaborazione. Un ricorso per chiedere di riconoscere la natura subordinata del rapporto di lavoro e il relativo indennizzo che, anche a causa della pandemia che ha rallentato la giustizia, si sta trascinando fra continui rinvii, con la prossima udienza fissata per l’11 marzo. Carmen mostra il contratto che, nei mesi “buoni“, gli consentiva di arrivare a uno stipendio di quasi mille euro: 6.20 euro lordi "per ogni ora di vendita svolta presso il nostro call center" oltre a provvigioni che vanno dal 3% per vendite a buon fine per un valore complessivo fino a 7.500 euro all’8% oltre quota 10mila euro. Nel suo ricorso, Maisano chiede al Tribunale del lavoro di Milano di dichiarare illegittimo il licenziamento, riconoscere il rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato e versare 38.201 euro "a titolo di differenze retributive". Richieste che i legali della società, la Hairmagazines Srl, nella loro memoria difensiva bollano come "infondate". "I collaboratori, nel pieno esercizio della propria autonomia, erano liberi di decidere orari e modalità di lavoro", scrivono. L’ultima parola spetta ora al giudice.

"Chiedo di avere giustizia anche per tanti colleghi del settore che lavorano in queste condizioni – spiega Maisano – adesso lavoro in un negozio di abbigliamento, non voglio più sentir parlare di call center". Condizioni, già critiche prima della pandemia, che nell’anno del coronavirus sono peggiorate andando verso una primavera che potrebbe portare a una cascata di licenziamenti quando verrà meno il divieto. Il collettivo AlmaWorkers sta portando avanti una battaglia per salvare i posti di lavoro di una cinquantina di dipendenti dei call center Almaviva in cassa integrazione a zero ore che potrebbero essere lasciati a casa dal 31 marzo. "Chiediamo l’apertura di un tavolo ministeriale", spiega Angelo Pellegrino, uno dei lavoratori del collettivo. Intanto, nella complessa vertenza, è arrivata una prima vittoria in Tribunale, con l’accoglimento di uno dei 100 ricorsi contro "sottoinquadramento e mancata collocazione oraria".

Andrea Gianni