Ex Molini-Certosa, opere abusive da demolire

Battaglia legale sul buco nero dello Stadera: il Tar respinge il ricorso dei proprietari di Martino Sas, confermato lo stop al restyling

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di Nicola Palma

È il buco nero del quartiere Stadera. Costruita nel 1925 per ospitare il deposito di farina dell’azienda Molini-Certosa, con tanto di ponte di ferro che la collegava al Naviglio Pavese, e poi diventata per più di mezzo secolo il quartier generale dei pullman Sila, ciò che resta dell’opera di archeologia industriale che occupa i circa 7mila metri quadrati delimitati dalle vie Chiesa Rossa, De Sanctis e Palmieri è almeno dal 2012 in stato di totale abbandono. E la luce in fondo al tunnel pare lontanissima, visto che proprio ieri una sentenza del Tar ha bocciato il ricorso dei proprietari della Martino Sas, confermando la validità dei provvedimenti del Comune che poco più di due anni fa hanno disposto il blocco dei lavori di restyling e ordinato la demolizione di quello che sarebbe stato realizzato "in assenza di titolo abilitativo sull’immobile".

La battaglia legale sembra destinata a durare ancora a lungo, considerato che i protagonisti sono gli stessi che hanno dato vita a un durissimo confronto a colpi di carte bollate su un palazzo che sta lì a due passi, quello di via Isimbardi 31. Stiamo, però, a quanto accaduto finora, ripercorrendo tutte le tappe recenti della vicenda. La storia inizia il 29 marzo 2018, quando la Martino sas presenta agli uffici di Palazzo Marino una segnalazione certificata di inizio attività (Scia) per un intervento "di manutenzione straordinaria (pesante), restauro e risanamento conservativo e ristrutturazione edilizia (leggera)". Il 20 dicembre, però, l’amministrazione comunica l’avvio del procedimento "finalizzato all’annullamento del titolo edilizio", sulla base dell’esito di due sopralluoghi che hanno evidenziato una serie di insuperabili criticità: dall’alterazione dei luoghi e dell’aspetto esteriore al vincolo idraulico legato al passaggio tombinato della cosiddetta "Roggia Scudellina".

Di più: "L’edificio esistente – emerge dall’istruttoria dello Sportello unico per l’edilizia – è oggetto di interventi di demolizione di parti di elementi strutturali che possono incidere sul comportamento locale e globale della struttura; le nuove strutture modificano il comportamento in caso di sisma; gli interventi sono diffusi all’intero stabile". Conseguenza: Scia annullata e stop al progetto, che prevede la realizzazione di un supermercato, di un campus e di tre stabili da destinare a studentato, aule e laboratori. E arriviamo al 29 ottobre 2019, quando la Martino Sas si rivolge al Tar chiedendo la sospensiva cautelare dei provvedimenti del Comune. L’obiettivo dichiarato: far ripartire il cantiere. Una richiesta negata dai giudici amministrativi, anche perché nel frattempo un decreto del gip del Tribunale penale ha disposto il sequestro preventivo dell’immobile. Il motivo: la sussistenza del "concreto e attuale pericolo che le condotte poste in essere perdurino fino al completamento dei lavori, con l’ultimazione delle opere". Tradotto: i presunti abusi vanno immediatamente fermati, altrimenti si rischia "che la libera disponibilità dell’immobile da parte dell’indagato possa protrarre o aggravare le conseguenze del reato ovvero possa agevolare la commissione di altri gravi reati contro l’incolumità pubblica".

Ventiquattro ore fa, è arrivato il pronunciamento nel merito del Tribunale amministrativo della Lombardia. Il primo motivo di ricorso, legato alla presenza di fantomatici "fatti non rispondenti al vero" nell’ordinanza che ha fermato le ruspe, è stato dichiarato "privo di fondamento". Per quanto riguarda il resto delle contestazioni, il collegio presieduto da Ugo Di Benedetto non ha ravvisato elementi in grado di sconfessare le conclusioni del Comune sulle carenze contestate alla Martino Sas. Quindi, istanza bocciata su tutta la linea e opere abusive da buttare giù.

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