Coltivava marijuana: assolto. Era a puro scopo terapeutico

Milano, veterinario la usava contro il mal di schiena

Marijuana

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Milano, 9 dicembre 2017 - Coltivava piantine di marijuana a scopo terapeutico per lenire i propri dolori. Per legge sarebbe vietato, ma i giudici lo hanno assolto. È una sentenza in parte innovativa quella pronunciata dalla quinta sezione della Corte d’appello milanese. Il ricorso era stato presentato da un pavese, R.B., veterinario e informatore farmaceutico, condannato in primo grado dal giudice di Pavia a 4 mesi di reclusione e 800 euro di multa per aver coltivato due piantine di cannabis. I fatti risalgono al 2013. B., oggi 45 anni, aveva acquistato con pochi euro semi di canapa online finendo per questo in un’indagine che i carabinieri stavano conducendo su un traffico di stupefacenti. Quando i militari andarono a perquisire la sua abitazione, spuntarono fuori nove barattoli con complessivi 77 grammi di marijuana e in più le due piantine con tutto l’occorrente per la coltivazione. B. si difese fin da subito sostenendo che faceva un uso personale della droga per contrastare i suoi fortissimi mal di schiena e che non aveva in vita sua mai né spacciato né ceduto ad altri gratuitamente la marijuana. 

A processo, difeso dall’avvocato Guido Camera, il giudice Luigi Riganti credette alle sue spiegazioni sull’uso personale e lo assolse con formula piena «perché il fatto non sussiste» dall’imputazione di spaccio. Ma per l’accusa di aver coltivato le due piantine, anche se la difesa ribadì che lo scopo era stato solo quello di non alimentare il mercato illegale, il tribunale osservò che la legge punisce in ogni caso la coltivazione «essendo irrilevante il fatto che l’imputato abbia deciso di coltivare la pianta al solo scopo di ottenere un prodotto capace di lenire i propri dolori fisici». Nel giudizio d’appello, però, la tesi sostenuta da B. e dal suo legale ha avuto un ascolto diverso. La norma in vigore, l’articolo 73 della legge sulle droghe del lontano ’90, sembrerebbe non lasciare scampo al coltivatore non autorizzato di cannabis. La scorsa estate, però, una sentenza della Cassazione aveva già aperto uno spiraglio in un caso analogo, annullando con rinvio una sentenza di condanna anche in appello sulla base del principio stabilito dall’articolo 131 del codice di procedura penale: quello che spinge il giudice a non condannare l’imputato in caso di «particolare tenuità dell’offesa».

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