Pero, il racconto: "La mia vita da soccorritore a salvare i malati di Covid"

Carlo Conca, 35 anni, lavora per Astra Pero, associazione in prima linea. "Quando entriamo in una casa dobbiamo ricordarci che il coronavirus c’è"

Alcuni colleghi di Astra Pero Soccorso dove Carlo Conca lavora ormai da 20 anni

Alcuni colleghi di Astra Pero Soccorso dove Carlo Conca lavora ormai da 20 anni

Pero (Milano), 12 novembre 2020  Martedì ha finito il turno a mezzanotte. Ieri di nuovo in ambulanza dalle tre del pomeriggio alle otto di sera. Cosa è cambiato rispetto alla prima ondata Covid di marzo? Ci pensa solo un attimo e poi risponde, "si è abbassata notevolmente l’età dei pazienti che trasportiamo, oggi vediamo anche malati di 30-40 anni e questo un po’ ci spaventa". È Carlo Conca , 35 anni, vive a Milano e lavora per Astra Soccorso Pero, associazione di soccorso in prima linea nel trasporto malati Covid-19 per la centrale operativa Areu. Aggiunge, "non vorrei essere frainteso, ma se vedi un paziente di 80 anni che ha difficoltà respiratorie non ti allarmi molto, ci può stare, quando invece ti trovi di fronte un giovane in affanno, che non riesce a respirare, il tuo impatto emotivo è differente. Mi ricordo molto bene il volto di un giovane di 22 anni che abbiamo trasportato qualche settimana fa. Ecco in quella situazione ero preoccupato".

Astra Pero Soccorso dove Carlo lavora ormai da 20 anni, in queste settimane è operativa con tre ambulanze, una h24 sempre a disposizione di Areu, un’ambulanza a giorni alterni a seconda delle richieste del 112 e un mezzo denominato Unità Covid. Cinque dipendenti e 75 volontari attivi. Qualcuno (dei volontari) per età o timore ha scelto di fermarsi. Nella sede di via Papa Giovanni XXIII da settimane i turni iniziano tutti nello stesso modo, "quando arriva la chiamata dalla centrale operativa di Areu c’è la vestizione, indipendentemente dal fatto che sia paziente sospetto Covid o altro, ci infiliamo la tuta bianca protettiva, guanti, mascherina filtrante, cuffia per la testa, copri calzari, visiera e poi sigilliamo tutto con il nastro - spiega l’operatore - richiede qualche minuto di tempo, ma con il trascorrere dei giorni siamo diventati abbastanza rapidi".

A bordo dell’ambulanza ci sono l’autista e altri due operatori e/o volontari, "la scorsa notte siamo andati a casa di un paziente di 42 anni che aveva problemi respiratori e altri sintomi Covid, noi tutti gli accertamenti, dalla saturazione alla frequenza cardiaca, ma non il tampone, la centrale ci ha indicato l’ospedale dove accompagnarlo, ma lui ha rifiutato, ha scelto di stare a casa in quarantena e avvisato medico di base e Ats". Per tutti gli altri la corsa in pronto soccorso, "a volte quando arriviamo ci sono molte ambulanze prima di noi che aspettano, è impressionante vedere certi numeri sui monitor che indicano i pazienti in attesa, in questi giorni ho visto anche numeri a tre cifre". Ha paura? "Non ho mai avuto paura né ho mai avuto la tentazione di fare un passo indietro, ho scelto questo lavoro vent’anni fa perché mi appartiene. Bisogno ricordarsi sempre quando si entra in una casa che il Coronavirus c’è".  

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