Quando Ndue Pulaj entrava in quell’androne, sapeva benissimo a chi rivolgersi. All’ufficio Accettazione delle prestazioni ambulatoriali del San Raffaele ci lavorano 42 operatori, ma lui andava sempre dallo stesso: da A., che, all’oscuro della struttura ospedaliera per cui lavora (che è del tutto estranea ai fatti), garantiva una corsia preferenziale ai "clienti" dell’albanese, tagliando liste d’attesa e tempi di visite e consegna referti. Dalle intercettazioni emerge che Pulaj, che evidentemente sfruttava questo automatismo da tempo, aveva maturato conoscenze non da poco sul funzionamento della sanità italiana e lombarda, ricavando, a onor del vero, una pessima opinione. "Ma come fanno le persone?", gli chiede una donna, riferendosi in sostanza a chi non adotta gli stratagemmi di Pulaj. "Privatamente – replica lui –. Vai dal privato o per conoscenze...". Un concetto ribadito pure in un altro dialogo incentrato sulla figura del dipendente pubblico italiano, in quel caso riferito al medico Domenico Carriero: "Tutti gli incapaci lavorano qua... come in Albania, ragazza... originale... il sistema albanese... Italia, l’Albania ha imparato, ha imparato da loro completamente...". N.P.
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