Covid, la richiesta della Regione all’Iss: "Adesso i tamponi positivi si devono pesare"

Lo studio del San Matteo di Pavia: nei guariti la carica virale è bassissima e non più contagiosa

Il test molecolare del tampone

Il test molecolare del tampone

Milano, 23 giugno 2020 - I tamponi positivi si devono iniziare a “pesare”: questo è il succo della richiesta partita ieri dalla Regione verso l’Istituto superiore di sanità, sulla base di uno studio condotto tra Lombardia, Emilia e Toscana con capofila il laboratorio di Virologia molecolare diretto dal professor Fausto Baldanti al San Matteo di Pavia. I ricercatori hanno preso i campioni ancora "debolmente positivi" di 274 pazienti clinicamente guariti dal Covid e li hanno messi in coltura con cellule vive in laboratorio, scoprendo che solo in 8 il virus era ancora in grado di infettarle. Tradotto, solo il 3% era contagioso. E gli stessi risultati, ha aggiunto il direttore dell’Istituto Mario Negri Giuseppe Remuzzi, "li abbiamo ottenuti anche noi, il professor Massimo Clementi (del San Raffaele, sono i dati citati da Alberto Zangrillo quando disse in tv che “il virus è clinicamente morto”, ndr ), l’ospedale di Treviso", che si è attirato gli strali del professor Andrea Crisanti, che anche ieri in televisione bollava le osservazioni sull’indebolimento del virus come "chiacchiere non basate su esperimenti" (definendo tuttavia "una certezza" la prospettiva di una seconda ondata pandemica).

Su una cosa , però, Crisanti e gli scienziati lombardi concordano: ad abbassare la carica del Coronavirus sono stati distanziamento sociale e mascherine, che perciò vanno mantenuti. E la richiesta lombarda di rivedere le politiche sanitarie di contenimento della pandemia non ha a che fare coi nuovi criteri raccomandati dall’Oms per sciogliere la quarantena quanto col fatto che "è importante che la sanità pubblica inizi a qualificare quanto una persona è positiva – chiarisce Remuzzi –, come si fa con la glicemia". Il parametro per la carica virale è la "ciclo soglia", o valore CT, che qualunque laboratorio, sottolinea Baldanti, dovrebbe essere in grado di stimare: più è alto, meno virus c’è. 

I dati del suo studio, chiarisce, riguardano i "clinicamente guariti" ancora in isolamento obbligatorio in attesa di un doppio tampone negativo: il test molecolare "identifica una porzione del genoma del virus, non ci dice se il genoma è integro o frazionato come avviene nelle fasi risolutive di qualsiasi infezione". E "non esiste nessun test che da solo possa definire lo stato clinico di un paziente, ogni esame va inquadrato nella storia clinica, come si fa con la glicemia"; perciò i nuovi positivi sintomatici "vanno tenuti in osservazione e poi si decide; ma un positivo a seguito di test sierologico, che non ha sintomi e magari nemmeno ricorda di averne avuti, è tutta un’altra storia".

Soprattutto nella regione che ieri aveva 143 nuovi positivi di cui 83 "deboli" e 64 da test sierologici, e 15.217 "clinicamente guariti" in attesa d’esser liberati dal doppio negativo, di cui solo 2.677 passati da un ospedale. "I lombardi, che sentono dire che l’80% dei contagi sono ancora qui, devono sapere che la carica virale è bassissima e probabilmente non contagiosa", insiste Remuzzi. Sono stati loro l’argine al virus, aggiunge il presidente del San Matteo di Pavia Alessandro Venturi: "La Lombardia, che il 20 febbraio diagnosticava il primo contagio autoctono in Italia e in Europa, ha fronteggiato una situazione senza eguali in Italia: qui c’è stata una pioggia di meteoriti all’insaputa di tutti, non piccoli focolai da contenere". E mette in discussione la narrazione del tamponamento di massa come panacea: "Impraticabile. Ha funzionato invece la strategia della massima precauzione: confinamento, quarantena obbligatoria e fiduciaria anche per i “sospetti” non diagnosticati, metà dei quali, si è scoperto con l’indagine regionale arrivata a oltre 250 mila test sierologici, non aveva la malattia. Ma adesso la scienza ci dice che la situazione è radicalmente cambiata".

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