Condotta disinvolta e lo stupro è scontato. La Procura ricorre: pericoloso precedente

Impugnate le motivazioni della riduzione di 8 mesi di pena per l’uomo che sequestrò picchiò e violentò la moglie

La pm Daniela Melota

La pm Daniela Melota

Milano, 8 ottobre 2020 -  «Un pericoloso precedente": la Procura generale definisce così nel ricorso per Cassazione la sentenza con cui la Corte d’appello di Milano, parlando di "condotta troppo disinvolta della vittima", ha ridotto di 6 mesi la condanna inflitta a un romeno 63enne che lo scorso anno ha sequestrato, picchiato e violentato la moglie, sua connazionale, in provincia di Monza. Un fatto accaduto a Vimercate nel giugno 2019, che dovrà ora essere vagliato dalla Cassazione.

Al termine del processo di primo grado, in abbreviato, l’uomo è stato condannato dal Tribunale a Monza a 5 anni. In secondo grado la Corte d’Appello ha ridotto la pena a 4 anni e 4 mesi, facendo riferimento a un presunto "contesto familiare degradato" e "caratterizzato da anomalie quali le relazioni della donna con altri uomini". Nel ricorso della sostituta pg Daniela Meliota contro quest’ultima sentenza si legge invece che il "contesto familiare caratterizzato da anomalie" e "l’avere definito l’imputato un soggetto mite e forse esasperato dalla condotta troppo disinvolta della convivente" sono "mere congetture del Giudicante che oltre a essere smentite dagli atti, costituiscono un pericoloso precedente per legittimare uno sconto di pena a fronte di reati di inaudita gravità".

Inoltre la Procura generale contesta la definizione di "uomo mite" sulla base di documenti prodotti dalla difesa sul percorso intrapreso in carcere. "Tale documentazione non proviene (...) da operatori dell’istituto penitenziario (...) né da alcun operatore sanitario qualificato". Ma si tratta invece di una "lettera scritta da un parroco" che ha avuto sporadici incontri con l’uomo e che non è dunque "fonte attendibile e qualificata". Il pg, quindi, conclude: "Risulta, allora, evidente che la valutazione della “più scarsa intensità del dolo” fatta dal collegio sulla condotta dell’imputato (...) si basa su elementi di fatto non corroborati in alcun modo dalle risultanze probatorie, nonché su una valutazione della personalità dell’uomo e della sua condizione psicofisica al momento dei fatti frutto di una convinzione del tutto personale del giudicante e priva di qualsivoglia riscontro oggettivo".

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