Giocatore a San Siro per una vita, ma anche uno di quelli che hanno sperimentato il calcio altrove come Barcellona o Atletico Madrid. Demetrio Albertini, oggi capace dirigente a livello nazionale, ieri centrocampista con il Milan e la maglia azzurra.
Cosa pensa di quello che sta accadendo a San Siro?
"Parliamo di uno stadio che ha grande storicità, ma non è moderno. Non rispetta i canoni, rispettava le esigenze di quando è stato costruito. Manca tutta la parte che si vive durante la settimana. Girando il mondo ho visto tanti stadi storici abbattuti e rifatti: Wembley, Maracana, il Vicente Calderon dove ho giocato con l’Atletico. Potete immaginare cosa lascio io, è casa mia. Ma il dato di fatto c’è".
Non si potrebbe pensare di riammodernarlo, come ha fatto il Real Madrid con il Bernabeu?
"Una cosa è parlare col cuore e un’altra è essere tecnici. Bisognerebbe capire quanto è il costo di ammodernamento e quel che potrebbe darti, e quanto l’abbattimento e un rifacimento a nuovo. Credo sia troppo facile dire di no. Abbiamo costruito CityLife, Gae Aulenti. Il percorso è quello".
Cosa le viene in mente se pensa a San Siro?
"La mia partita d’addio è la sintesi di quello che è stato essere calciatore. L’idea di rivedere un grande Milan tutto assieme. Il gol di Van Basten, la festa e l’emozione che si percepiva".
Cosa potrà dare in più un nuovo stadio dal punto di vista emotivo?
"Già San Siro ti dà qualcosa in più sotto quell’aspetto, la questione è puramente di funzionalità. Il pensiero di poter ospitare la doppia produzione tv a San Siro è già una difficoltà. La domanda è: si può o non si può ammodernare?".
Crede sia giusta anche l’idea di un abbassamento della capienza?
"Sì perché non in tutte le gare c’è un tutto esaurito. Bisogna offrire dei servizi. La mia risposta è che nessuno stadio al mondo è in grado di ospitare tutti quelli che vorrebbero esserci alla finale di Champions League".
Mattia Todisco
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