Porta Romana, quartiere borghese, 12 aprile del 2019, sono le otto del mattino quando si consuma un agguato in mezzo al traffico caotico di Milano. Anche allora due uomini in moto, cinque colpi di pistola calibro 9 sparati puntando alla testa, che, in quel caso, solo per un soffio e per un destino fortunatissimo non uccisero Enzo Anghinelli, seduto al volante della sua station wagon. Uno solo di quei proiettili andò a segno, gli spaccò lo zigomo, sfiorando il cervello e lo mandò in coma, restò fra la vita e la morte per due mesi. E ne uscì con lesioni gravi e permanenti.
A distanza di oltre tre anni resta il mistero sugli autori della tentata esecuzione. Nulla sugli esecutori, nulla sul mandante, ipotesi tante, soprattutto per via dei contrasti che Anghinelli aveva avuto con esponenti della curva sud, presunti autori di un pestaggio di cui era stato vittima pochi mesi prima del tentato omicidio. Ma nessuna pista ha portato mai a chiudere il cerchio, nemmeno quella seguita più delle altre di una “lezione“ per aver tentato, lui pesce piccolo, di scalare la curva sud del Milan, pestando i piedi a chi non doveva.
Da almeno un anno (la burocrazia e il covid) si attende l’archiviazione. In questo tempo il pm Leonardo Lesti, titolare dell’indagine, ha approfondito tutte le piste, compresa quella legato allo spccio. Già una decina di anni fa, infatti, Anghinelli era ritenuto uno dei "punti di riferimento" dello smercio di stupefacenti in città e aveva patteggiato una pena a tre anni per traffico di droga. Nonostante i numerosi accertamenti svolti, l’indagine è finita in un vicolo cieco e la Procura non ha ravvisato utile altra strada se non quella di una archiviazione, rimandata più volte anche nella speranza che uscisse qualche elemento a completare il quadro criminale di contorno, tutto noto agli investigatori.
La vittima, che non ha mai voluto collaborare, e ha sempre detto di non ricordare nulla, vive oggi con la madre e ha una pensione di invalidità. Ha una lunga storia criminale, anche se non paragonabile ai reati che hanno fruttato a Vittorio Boiocchi 26 anni di carcere. Anghinelli uscì di cella nel 2016 dopo aver scontato undici anni per traffico di cocaina e, da quel momento fino agli ultimi mesi, cerca di rassicurare tutti: "Ormai faccio una vita regolare". I poliziotti della Mobile credono invece che negli ultimi anni Anghinelli si fosse rimesso in affari con i vecchi amici e all’interno di questa rete sia esplosa la controversia all’origine dell’agguato in via Cadore. La soluzione sta probabilmente dentro la triangolazione tra legami vecchi e nuovi con l’ambiente ultrà della curva del Milan. Questi gli scenari, ma la Procura non ha trovato prove che possano portare nomi e cognomi.