GIULIA BONEZZI
Milano

Cliniche sotto casa, è boom: triplicate rispetto a 10 anni fa. Le attese spingono il privato

La pandemia ha ridisegnato l ’offerta in Lombardia aprendo sul territorio praterie a strutture taglia-code In attività 1.452 centri, il 218% in più in 10 anni. Il mercato in Italia vale oltre 41 miliardi

Sono sempre di più i centri sanitari privati che aprono in Lombardia

Giulia Bonezzi

MILANO

C’è il colpo d’occhio : l’ingresso lucido d’un centro diagnostico che ha sostituito il vecchio negozio di quartiere, le vetrine di un poliambulatorio privato al posto delle serrande rimaste abbassate dopo la pandemia. E ci sono i numeri del Registro imprese: dicono che al codice Ateco che identifica "altri studi medici specialistici e poliambulatori" (diverso dai codici degli studi di medici di base e pediatri, dentisti, chirurghi, medicina estetica e degli ambulatori del servizio sanitario nazionale), a fine 2022 corrispondevano 1.452 "localizzazioni" d’imprese attive in Lombardia. Non imprese, dato che più sedi possono far capo alla stessa, ma “punti vendita” della salute. Sono aumentati del 7,6% dal 2021, del 35,1% dal 2019, e negli ultimi dieci anni del 218,4%: nel 2013 erano 456. Adesso se ne contano 563 nella sola provincia di Milano: triplicati, rispetto ai 188 del 2013. Non c’è quasi provincia in Lombardia che non abbia avuto un incremento percentuale a tripla cifra in dieci anni (tranne Mantova, e ha fatto +88,9%), e che non li abbia visti crescere ancora dal 2019 pre-Covid (tranne Sondrio, dove comunque sono aumentati del 5,9% dal 2021).

È la legge della domanda e dell’offerta, cartina al tornasole di un problema non solo lombardo, complesso nelle cause e facile generatore di polemiche politiche, accelerato dalla mole di visite ed esami rimasti indietro per la pandemia: il servizio sanitario pubblico fatìca a star dietro alla richiesta e molti cittadini devono cercare prestazioni che dovrebbero esser loro garantite dal pagamento delle tasse (e del ticket) sborsando di tasca propria. Un altro indizio emerge dalle attività svolte in regime privato dalle strutture pubbliche o private convenzionate (cioè che lavorano a contratto con il sistema sanitario regionale ed effettuano visite ed esami prescritti dai medici curanti per il sistema pubblico). Nel 2022 la Regione ha investito 40 milioni di euro per “acquistare” slot aggiuntivi dal privato, con l’obiettivo di recuperare attività perse durante l’emergenza Covid e ridurre i tempi di attesa. Ma i report del "Piano territoriale per il governo dell’attività ambulatoriale e dei tempi d’attesa", trasmessi dalle Ats alla Regione a fine 2022, dimostrano che, nonostante le risorse aggiuntive, le prestazioni più critiche (dalle prime visite alla diagnostica, come ecografie e radiologia) per le liste d’attesa risultano in riduzione: il pubblico, tra maggio e ottobre, ne ha erogate il 5,3% in meno rispetto allo stesso periodo del 2019; il privato il 9,3% in meno. Tra gennaio e ottobre 2022, di queste prestazioni “critiche“ i lombardi ne hanno effettuate col servizio sanitario nazionale circa l’8% in meno rispetto alle circa 4 milioni 820 mila del 2019; equamente distribuite, circa 201mila in meno con la sanità pubblica e circa 186 mila in meno nel privato accreditato.

Contemporaneamente, sono aumentate invece le prestazioni dello stesso tipo effettuate di tasca propria dai cittadini: circa 167.600 in più rispetto all’ultimo gennaio-ottobre pre-pandemia. Ma mentre il pubblico ha registrato meno di 24.500 prestazioni "in solvenza" in più rispetto al 2019, i privati ne hanno effettuate a pagamento oltre 143 mila in più, passando da 588.300 a 731.500 circa. E questo spostamento riguarda solo il privato accreditato, senza calcolare le strutture private-private che non lavorano per la sanità pubblica, alcune offrendo prezzi “competitivi” di poco superiori al ticket. La malattia non è solo lombarda: nel rapporto Oasi 2022 del Cergas Bocconi si legge che gli italiani spendono per la salute circa 41 miliardi di euro l’anno, con minima differenza tra pre e post-pandemia (40,8 nel 2019): un terzo del valore del Fondo sanitario nazionale, non poco per un Paese con un servizio a vocazione universalistica. La Lombardia è la seconda regione per questa spesa "out of pocket", ma la posizione ha probabilmente a che fare col reddito, dato che nella classifica del peso dell’esborso sul bilancio delle famiglie siamo sestultimi e sotto la media italiana. Certo, i 41 miliardi includono ad esempio il dentista (8,7 miliardi), farmaci (9,2 miliardi) e presidi dalle garze agli occhiali (5,9), o 3,8 miliardi in ricoveri di lungodegenza (le Rsa), ma 8,4 miliardi se ne vanno per servizi medici come visite (5,3 miliardi incluso il ticket) e diagnostici (3,1).

Dei 40,8 miliardi di tasca propria pre-pandemia, gli italiani ne hanno spesi complessivamente 14,8 in beni e 26 in servizi sanitari, e di questi ultimi 23,7 miliardi sono andati al privato: il ticket assorbe 1,3 miliardi (più mezzo miliardo di ticket farmaci) e l’ intramoenia , cioè le prestazioni a pagamento nelle strutture pubbliche, un miliardo. Meno degli 1,1 miliardi che gli italiani spendono all’anno per la differenza di prezzo tra i farmaci “brandizzati” e i generici equivalenti.